Ma ora all'Italia serve un governo

Ma ora all'Italia serve un governo

di Alberto Faustini

La sindrome non ha un nome preciso. Non penso però che si tratti di poltronite. Chi è molto attaccato allo scranno ovviamente c’è. E non è solo una questione di stipendio, visto che le persone serie, per avere uno stipendio, non hanno bisogno della politica, che anzi oggi è vista purtroppo come qualcosa di deteriore, da cui star lontani.

Siamo dunque di fronte a una cosa più complessa, che fa sì che ciò che è evidente da fuori (nel Paese reale) diventa incomprensibile da dentro (il Palazzo). A chi è fuori dalle sfarzose stanze romane risultano infatti chiare due cose: che l’Italia ha bisogno di un governo e che il governo uscente - come molti che l’hanno preceduto - ha fallito.

Due, dunque, le strade: cercare una soluzione per ridare una guida al Paese, ripartendo inevitabilmente dai risultati del voto del 4 marzo e certo non da sondaggi immaginifici, e puntare su una sorta di governo di salute pubblica. Governo che non può che nascere su due radici definite: la sostanziale discontinuità rispetto al governo che è appena caduto e la necessità di dar vita a una squadra autorevole. Tradotto: se i partiti che formano la coalizione si giocano alcuni dei loro pezzi pregiati, il governo ha qualche chance di durare; se invece si guardano bene dall’impegnare nella partita i gioielli di famiglia, il segnale è già chiaro: si va a casa presto. In tal caso, meglio andare a votare subito. Detto fra noi, sembra averlo capito solo il presidente della Repubblica, che non a caso, seppur in garbati modi mattarellesi, ha alzato la voce.

Ma tutto questo, dal Parlamento, evidentemente non si vede. Diversamente, il Pd - benché non sia esattamente una novità - non si spaccherebbe e il Movimento 5stelle non avrebbe linee e idee ogni giorno diverse. Non ci sono altre alleanze possibili, se si vuole evitare il voto. Questo non può essere il tempo dei veti, degli egoismi politici e delle velenose rivincite. Dev’essere il tempo degli impegni, dei patti. O, se preferite, dei tanti rospi (e delle tante offese) da ingoiare. Per un bene superiore, però: l’Italia e gli italiani non possono venire dopo il mal di pancia dei singoli. E non è più nobile il mal di pancia di Di Maio rispetto a quello di Renzi, quello di Zingaretti rispetto a quello di Di Battista o quello di Conte rispetto a quello di Salvini, che prima ruba il pallone e che poi si ripresenta in campo per giocare come se niente fosse.

Normale che in una trattativa si chieda tutto per poi portare a casa qualcosa. E ovvio che i due possibili sposi tendano a voler organizzare il matrimonio a modo loro. Ma sulle ceneri dell’odierna politica non può che nascere un governo del compromesso. Solo una cosa non abbiamo: tempo da perdere. Ma anche questo, ai leader di partito, sembra sfuggire.

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