Bici e tram sono il futuro di Trento

di Massimo Girardi

Considero positivo che nel dibattito sulla mobilità per la città di Trento sia messa l’ipotesi tram «ring», ossia la circolare tramviaria cittadina in un contesto di progettualità ad ampio raggio per il capoluogo. Bene l’ammissione che d’ora in avanti serve coraggio.

Le scelte sul futuro della mobilità cittadina non sono più rinviabili, sono da decenni un’emergenza tra l’altro nazionale che a più riprese è stata tra l’altro tirata in ballo più volte in Italia dalla Corte dei Conti, la quale sostiene che è indispensabile investire sulle infrastrutture per i trasporti di massa.

Anche investimenti più soft sono fondamentali per migliorare la mobilità urbana tra cui quella sulle due ruote, che risulta essere la più capillare, alla portata di tutti, il vero investimento anche sotto l’aspetto della riduzione della spesa sanitaria; un euro investito in mobilità in bici consentirebbe un risparmio di 10 euro sulla sanità.

Vi sono vari studi a tale proposito, tra cui quello dell’Organizzazione mondiale  della sanità, in cui è dimostrato che le probabilità di morte di chi usa la bicicletta tre ore a settimana, o 108 ore l’anno, sono inferiori del 28% a quelle di chi in bici non ci va. Le malattie legate all’inattività fisica hanno costituito, fino al 2004, la sesta causa di morte in Europa.

Un altro vantaggio degli investimenti in questa direzione è che contribuisce ad alleggerire la spesa pubblica del trasporto pubblico urbano. Una grande opportunità in questa direzione è data dalla diffusione in massa delle bici a pedalata assistita che permettono a tutti, non solo in città ma anche in collina, di spostarsi senza la necessità di avere il fisico di un atleta. Ma a Trento si dorme ancora su un altro aspetto della mobilità ed è quello che condizionerà il futuro urbanistico e della vivibilità di Trento. Si tratta della mobilità extraurbana data da pendolari e turismo e per questo serve una visione di ampio raggio geografico storico e programmatico. Ed qui ci vuole ancora  più coraggio rispetto alle scelte urbane.

Ciò che manda in tilt città come Trento e Bolzano infatti non è tanto la mobilità interna quanto chi entra ed esce dalla città tutto il giorno, e questo non avviene solo nelle ore di punta.
Ignorare questo aspetto significa ragionare senza guardare oltre il proprio naso. Il sindaco Caramaschi a Bolzano, ad esempio, si è reso conto che la soluzione va ricercata sui flussi esterni.

Cosa propongo?

  1. Serve una potente svolta culturale tra i decisori politici e nella cittadinanza. Dobbiamo partire dal recupero della memoria storica in tema di trasporti; Le visioni d’avanguardia ai tempi dell’Impero Austroungarico con la rete capillare di ferrovie che dalle città di Trento e Bolzano raggiungevano le valli. Si faceva sistema con tutto il territorio come se città e provincia fosse un unico tessuto urbano. Più coraggio di oggi, meno soldi ma più visione e capacità di un interesse comune vasto del territorio. Non solo la città ma territorio esterno come risorsa per la città e viceversa. Ora invece le città sono egoiste e guardano contro il loro stesso interesse solo ai loro bisogni
  2. L’attualità della figura e del pensiero di Paolo Oss Mazzurana che fu podestà di Trento a cavallo del 19° e 20° secolo, il «padre sano» di metroland con Trento al centro della ruota del carro e le valli viste come i raggi e collegate attraverso tramvie e ferrovie di vallata. Sottolineo «padre sano» perché il metroland del 2008 -2009 era concettualmente geniale ma bugiardo nella sua proposta realizzativa. Irrealizzabile dal punto di vista ingegneristico ed economico e sotto l’aspetto della gestione.
  3. Conoscere la storia significa avere in mano gli strumenti per decidere le scelte per governare la mobilità che dalle valli scende in città. Governare significa decidere come permettere di arrivare a Trento potendo fare a meno dell’uso della propria auto e potendo fare a meno della realizzazione dei parcheggi di testata nella periferia della città. È il pastore insomma che deve guidare le sue pecore e non le pecore guidare lui. Per decidere come entrare e uscire da Trento servono infrastrutture e queste sono le ferrovie di vallata; 4) Gemellare la città con le varie realtà turistiche, internazionalizzare le linee esistenti, costruire le mancanti e potenziare quelle esistenti. Potenziare il, sistema intermodale ferro-gomma-fune ed ascoltare le voci dei territori che non chiedono strade ma infrastrutture per una nuova mobilità.  
  4. La società civile sempre più si rende conto che il vero investimento non è sulla realizzazione di pesanti infrastrutture stradali ma sulla mobilità pubblica.
  5. Recepire le indicazioni del Documento di Euregiolab 2017 che indica come sviluppo del progetto di nuova ferrovia del Brennero il portare la filiera ferroviaria dal fondovalle alle valli e ridare vita alle periferie. Il futuro della città e della montagna è rafforzare le condizioni per la vivibilità, servizi, infrastrutture ferroviarie, pianificazione dell’economia turistica sull’annualità e non più sulla stagionalità.
  6. Maggiore solidarietà tra città e periferie. Non è accettabile che una valle alle porte di Trento, quale ad esempio la valle di Cembra, sia condannata allo spopolamento e a morire. Il futuro di Trento sta nella rinascita delle valli, tra cui soprattutto quella di Cembra. Collegare questa valle con la ferrovia significherebbe ripopolare la valle, sollevare la città dalla pressione migratoria che dalle periferie spinge in direzione della città, e per essa stessa recuperare qualità della vita e il risparmio di terreni che potranno così essere destinati ad usi alternativi.
  7. Effettuare l’analisi dei costi e dei benefici anche sulla mobilità stradale. Solo allora capiremo la vera realtà dei costi dei trasporti e del prezzo che paghiamo sulla mobilità privata. Ci sono studi molto qualificati in Italia e in Europea a tale proposito e le indicazioni che ci vengono dai loro contenuti è che il vero spreco di denaro pubblico deriva dall’eccessivo spazio dato alla mobilità privata. Una coraggiosa politica volta al potenziamento della trasporto pubblico con la conseguente riduzione del parco auto privato significherebbe che ogni auto in meno in famiglia avrebbe come risultato una «restituzione» alla famiglia di circa 3-4mila euro all’anno. Soldi che altrimenti dovrebbe essere destinati al mantenimento del veicolo. Una comunità con meno auto è una comunità più ricca ma più sana.

 

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