Perché vincono i neoprotezionisti

Perché vincono i neoprotezionisti

di Francesco Terreri

Il fatto che nei quartieri di Scampia o Secondigliano a Napoli il Movimento 5 Stelle prenda più del 60% dei voti confermerebbe la tesi del voto dei poveri e dei disoccupati che si aspettano il reddito di cittadinanza come nuova forma di assistenzialismo. Ma come si spiega che i 5 Stelle ottengano il 30% nell’Alto Garda, distretto turistico e industriale di prim’ordine, uno dei motori della crescita del Trentino? E superino il 30% in tante aree e distretti produttivi, dall’Emilia Romagna alla Sardegna? E poi: a Taranto, dove il Movimento è al 47%, ci sono certamente disoccupati, ma c’è in primo luogo una delle più grandi concentrazioni operaie d’Italia, gli 11 mila addetti dell’Ilva. Alla Fiat-Fca di Melfi, 7.400 lavoratori, i 5 Stelle sono al 42%. A Brindisi, 44% al M5S, c’è uno dei maggiori poli aeronautici del Paese.
Non è certo la prima volta che la Lega ottiene percentuali elevate a Bergamo, a Brescia o nel Veneto.

Ma nel distretto della meccanica di Terno d’Isola (Bergamo), 13 mila operai, in cinque anni raddoppia i voti dal 16 al 32%, tra le fabbriche di rubinetteria di Lumezzane (Brescia), quasi 17 mila lavoratori, fa un balzo dal 21 al 38%, nel distretto della concia di Arzignano (Vicenza) arriva al 39%. E ottiene più del 40% nella Val di Non del distretto delle mele, uno dei pilastri dell’agroalimentare trentino (e nazionale), ora colpito dalla crisi meteo e dal calo dell’export.

Poi c’è l’impatto delle crisi bancarie. A Vicenza, nell’epicentro del terremoto delle banche dei territori, la Lega è al 35%, il Movimento 5 Stelle al 23%. A Treviso (Veneto Banca) la Lega è al 31%, il M5S al 24%. A Ferrara, sede della Cassa di Risparmio messa in risoluzione a fine 2015, Lega e 5 Stelle sono appaiati al 24%. Nell’Abruzzo di Carichieti i 5 Stelle hanno il 41%, la Lega un onorevole 13%.
Questo quadro molto vario e articolato del voto del 4 marzo suggerisce di uscire da alcune rappresentazioni semplicistiche del risultato elettorale: l’assistenzialismo, l’evasione fiscale, il rancore, la paura. Il successo del Movimento 5 Stelle da un lato, della Lega dall’altro fa parte invece di una spinta molto più ampia, una spinta analoga a quella che ha portato all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e che, per altri versi, si sta affermando nell’Europa centro-orientale, dalla vicina Austria alla Polonia. È la richiesta di protezione contro quelli che vengono percepiti come i pericoli maggiori della globalizzazione: la concorrenza commerciale che colpisce le produzioni locali e il lavoro, le crisi finanziarie che distruggono il risparmio, le migrazioni incontrollate che aggravano le condizioni di sicurezza nelle città. La domanda di neoprotezionismo arriva da ambiti molto diversi e con accenti diversificati, da ceti poveri e da poli produttivi, da lavoratori che si sentono in concorrenza con forza lavoro immigrata e da risparmiatori traditi dalle banche. Lega e 5 Stelle, in modi diversi, hanno intercettato una parte importante di queste domande sociali.

Il voto neoprotezionista, tuttavia, avrebbe potuto vincere qualche anno fa. Alle politiche del 2013, dopo cinque anni di crisi e due anni di austerità «europea», aveva già fatto un primo botto. Se nel febbraio 2014 il governo Letta non fosse stato sostituito, il Movimento 5 Stelle avrebbe probabilmente vinto le elezioni europee e 5 Stelle e Lega, che da subito era andata all’opposizione del governo di larghe intese, avrebbero ottenuto un successo alle probabili elezioni anticipate di lì a poco. Questo non è avvenuto perché l’esecutivo successivo, il governo Renzi, ha sì proseguito alcune delle politiche indicate dall’Europa, ma ha anche introdotto misure non convenzionali sul piano sociale e del lavoro: gli 80 euro per 10 milioni di lavoratori dipendenti con redditi bassi, gli sgravi contributivi alle assunzioni a tempo indeterminato.
1) Gli 80 euro, è stato detto da più parti, sono una misura spot, una mancia, non hanno neanche rilanciato i consumi. Altro che bonus, è la critica: ci vorrebbe una vera riforma dell’Irpef. Invece, a guardar bene, sono una delle poche misure di protezione dei lavoratori e dei ceti sociali più deboli fatte in questi decenni. E sono più efficaci di grandi riforme dell’Irpef, non solo perché arrivano più rapidamente, ma soprattutto perché sono un credito d’imposta mirato per i redditi bassi. Se si volesse far arrivare 960 euro annui in tasca ai contribuenti a basso reddito intervenendo sulle aliquote Irpef, infatti, per il meccanismo stesso dell’Irpef il beneficio andrebbe a tutti, anche ai milionari, sia pur solo per i primi 26.000 euro del loro reddito. Questo accadrebbe a maggior ragione con la flat tax, la tassa piatta uguale per tutti proposta dal centrodestra. E naturalmente costerebbe molto di più. Quanto poi al fatto che le famiglie, invece di aumentare i consumi, hanno usato il bonus per pagare mutui e bollette che prima facevano fatica a saldare, questo non fa che confermare che si tratta soprattutto di una misura di ristoro di fasce sociali colpite dalla crisi.

2) Per quanto riguarda gli sgravi contributivi, le assunzioni a tempo indeterminato che ne hanno beneficiato sono state 1.079.070 nel 2015 e 413.631 nel 2016 (dati Inps). Poi gli sgravi sono terminati ed è tornato a crescere il lavoro a termine e precario. Mercato del lavoro «drogato» dagli incentivi, è stato detto. Ma il punto chiave è che, per un periodo troppo breve, il lavoro stabile è costato meno di quello precario e, in presenza di segnali di ripresa dell’economia, le assunzioni stabili sono risultate convenienti. Certo, sono assunzioni col nuovo contratto previsto dal Jobs Act, meno garantista verso il lavoratore di quello precedente. Ma non c’è paragone di forza contrattuale e sindacale tra l’essere assunti a tempo indeterminato e avere un qualche contratto precario o peggio.

Nonostante queste misure, però, il 4 marzo hanno vinto 5 Stelle e Lega. La vittoria neoprotezionista è stata solo ritardata di qualche anno. Perché? In primo luogo perché le misure non convenzionali non sono state sufficientemente estese (gli 80 euro) o durature (gli sgravi al lavoro stabile). In secondo luogo perché in altri campi cruciali politiche non convenzionali non si sono viste. Ci riferiamo soprattutto alla questione dell’immigrazione e al tema del risparmio e delle banche.
Sull’immigrazione si rischiano ulteriori rappresentazioni semplicistiche. Davvero fra gli italiani e fra i trentini stanno prevalendo xenofobia e razzismo? Davvero lo sparatore di Macerata e l’autista che non fa salire gli stranieri sul bus sono i nuovi eroi? Queste rappresentazioni sono in contrasto col fatto che migliaia di persone in Trentino come nel resto del Paese sono impegnate per il sostegno dei più poveri, tra i quali molti sono stranieri. I timori diffusi, infatti, non sono sull’accoglienza dei migranti, riguardano cosa fanno i migranti quando sono qui. La debolezza della politica seguita finora sull’immigrazione non è l’aver salvato persone in mare, è l’essere stata una politica assistenzialistica, un assistenzialismo che ha prodotto anche corruzione come nel caso «Mafia capitale». Un assistenzialismo che si accompagna alla sottovalutazione dei fenomeni criminali presenti tra gli stranieri. Sono mancate quasi completamente iniziative sulla formazione, il lavoro, la valorizzazione dei talenti imprenditoriali tra i migranti. Ed è mancata la lotta alle mafie straniere, che si fa coinvolgendo gli stessi immigrati, come quella alle mafie nostrane si vince prima di tutto quando i siciliani si rifiutano di pagare il pizzo.

Infine, ma non per importanza, la questione delle banche e del risparmio. Non solo il governo Renzi ma tutti, al di là delle sparate demagogiche che si sono sentite in questi mesi, hanno sottovalutato lo shock della nuova normativa europea sulle crisi bancarie, il cosiddetto bail-in: per la prima volta pagano anche i risparmiatori. In un Paese come l’Italia, e come il Trentino, ad alto tasso di risparmio, tutelato nella Costituzione, è un messaggio devastante. È questo il punto cruciale delle vicende bancarie, non gli incontri di Maria Elena Boschi. Anche su questo nodo sono mancate politiche non convenzionali: meno speculazione nell’attività bancaria, più trasparenza, più informazione, più coinvolgimento dei risparmiatori. Come si vede nella vicenda delle banche popolari e del credito cooperativo, si è puntato ad una maggiore efficienza del sistema bancario ma il tema del credito socialmente responsabile e del risparmio consapevole sono rimasti sullo sfondo.

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