Dieta mediterranea in versione Euregio

Dieta mediterranea in versione Euregio

di Andrea Segre

Si chiude il 2017, bene o male. Cosa augurarsi per il 2018 e gli anni a venire? La lista sarebbe lunga. Ma c’è «qualcosa» in particolare che stiamo sottovalutando. Sta per piombarci addosso una tempesta perfetta di malattie croniche legate all’invecchiamento e agli stili di vita sbagliati. Non si tratta di fare allarmismi, parlano i dati. Oggi più del 50% della popolazione di Trentino, Alto Adige e Tirolo è sovrappeso e quasi il 20% è obeso. Tra nemmeno cinquant’anni oltre il 20% avrà più di 65 anni. Un tornado che minaccia la vitalità economica della regione e il benessere di chi vi abita. Come scienziato e cittadino, mi interrogo su quale possa essere la chiave per disinnescare questa bomba (calorica) ad orologeria.

Va fatto ora, non c’è tempo da perdere. Bisogna trasformare il problema in opportunità, anzi, in un grande obiettivo.
Come? Lo spunto mi viene da una ricerca che la Fondazione Mach sta coordinando con dodici partner dell’area Euregio, su impulso della Provincia. Preliminare è tuttavia l’inversione di un motto, assai caro alla mia generazione: «Pensa globale, agisci locale» (think globally, act locally). Oggi, invece, per affrontare le sfide di questi nuovi assetti sono convinto che il detto vada ribaltato: dobbiamo pensare locale e agire globale.

Mi spiego meglio. È necessario partire dal nostro piccolo per poi trasmettere ciò che funziona su noi stessi agli altri, guardando così al più grande. Questo sapendo che il nostro stile di vita individuale influenza anche l’ambiente nel quale viviamo: un nostro gesto può produrre milioni di altri gesti, in una sorta di «effetto farfalla».
Una buona applicazione di questa prospettiva «ribaltata» è la valorizzazione locale e personale della cosiddetta dieta mediterranea. Da intendersi come stile di vita, comportamento: dieta vuol dire questo e non restrizione calorica come tanti pensano. La dieta mediterranea è interessante per almeno due ragioni fra le altre. La prima: è dimostrato come sia capace di allungare la qualità della vita. Non solo l’età, ma proprio lo stare in salute più a lungo. La seconda: se vista come «dieta media», può diventare un modello universale per poi adattarsi a livello locale e personale/ individuale.

Lo dobbiamo ancora provare concretamente, ma ci sono tutti i presupposti perché la «versione Euregio» della dieta mediterranea sia davvero una buona intuizione. Perché la dieta è una questione di porzioni e di proporzioni, il cibo «funziona» di più se è locale e tradizionale, o ancora meglio, se lo stile di vita si basa veramente sui pilastri della piramide alimentare: il movimento, la relazione, la convivialità... E qui gli abitanti delle tre Province potrebbero essere dei veri campioni, migliorando le loro poco promettenti «performances» dedicando maggiore attenzione agli alimenti, ai movimenti, e alle menti (cioè ricerca, formazione, educazione).
Vivendo da queste parti per una buona parte dell’anno ne sono sempre più convinto. L’obiettivo è dunque doppiamente ambizioso: dimostrare che si può vivere a lungo con minori spese sanitarie e contemporaneamente aumentare il reddito dei produttori locali. Sembra l’uovo di Colombo, in parte forse lo è.

Ma c’è un ulteriore passaggio volendo essere ancora più arditi, e almeno ad inizio anno dobbiamo farlo. L’aspirazione più alta è legata proprio dalla Dieta Mediterranea - questa volta scritta però con le maiuscole - in quanto riconosciuta patrimonio dell’Unesco.
Un «premio» assai meritato, proprio per il fatto che la dieta, intesa appunto come stile di vita, ha carattere universale e, per questo, funziona anche la versione locale.

Nell’area Euregio il rapporto speciale fra coltura e cultura è storico e attuale al tempo stesso.
Coltivare in quota non ha solo un significato economico, bensì anche di salvaguardia del territorio e delle sue tradizioni, ad esempio attraverso lo sfalcio dei pascoli, l’alpeggio e i terrazzamenti. Inoltre, più sale l’altimetro, più il lavoro del contadino diventa faticoso - e prezioso - anche se poi lo sforzo viene ampiamente ripagato dall’elevato valore nutritivo del raccolto (ma non dal reddito). Insomma, per farla breve, mi sono convinto che la coltura-cultura eno-gastronomica, rurale, agricola, montana di Trentino, Alto Adige e Tirolo dovrebbe essere un patrimonio dell’umanità da custodire (e valorizzare) con grande cura.
Un bene immateriale così inestimabile che andrebbe iscritto nella prestigiosa lista Unesco, quale patrimonio di eccellenza mondiale. Come è avvenuto poche settimane fa per la pizza napoletana, anche se, con tutto il dovuto rispetto per Pulcinella, qui tra le Alpi davvero c’è qualcosa in più.

A partire dal fatto che a sostenere questa candidatura sarebbero tre Province appartenenti a due Stati diversi, proprio come nel 2010 era avvenuto per la Dieta Mediterranea, che aveva fatto da ponte tra l’Italia e gli altri «vicini» di mare. E qui abbiamo le Alpi. Altro che costruire barriere e confini.

E poi sarebbe una straordinaria operazione di marketing territoriale.
Perché no? Buon 2018.

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