La traccia su Eco, scelta sbagliata

La traccia su Eco, scelta sbagliata

di Alessandro Tamburini

Risulta toccante e in qualche modo conforta la trepidazione manifestata dai ragazzi sulla soglia del loro Esame di Maturità, che a dispetto di crisi, disvalori e perdite di senso sembra mantenere intatta la valenza simbolica di passaggio cruciale nella vita di ciascuno. Linea d'ombra. Porta stretta. Momento memorabile. 

C'è però un'altra costante che nell'edizione di quest'anno ha trovato l'ennesima conferma: in un ventaglio di tracce belle e stimolanti (dal rapporto padre-figlio al valore del paesaggio, dall'avventura spaziale al voto alle donne, al concetto di confine), alquanto opinabile è risultata ancora una volta la prima traccia, più che degna per quanto riguarda l'autore e l'argomento in sé, ma molto, troppo lontana dal campo di studio dei maturandi. La Tipologia A - Analisi del testo dovrebbe offrire loro l'opportunità di dimostrare le proprie conoscenze e competenze in ambito letterario, e logica vorrebbe che questo avvenisse su testi e autori oggetto di studio nel corso dell'ultimo anno, cioè i principali poeti e prosatori del Novecento.

Ben pochi di loro avranno avuto modo di trattare in classe la figura e l'opera di Umberto Eco. Non stupisce perciò che, sebbene fra gli autori pronosticati alla vigilia a seguito della sua recente scomparsa, ben pochi fra i candidati abbiano scelto questa traccia. Forse sarà andata meglio nei licei, ma nell'Istituto Tecnico dove sono commissario d'esame la percentuale è stata a malapena di uno su cento. Dunque un'altra occasione sprecata. Ciò premesso, veniamo allo svolgimento della traccia.

Il testo di Eco, tratto da un volume pubblicato nel 2002, non è letterario ma saggistico, e perciò più adatto a entrare in una Tipologia B. È incentrato sul senso e l'utilità della letteratura ed esprime una serie di concetti chiari e concatenati fra loro. La letteratura e la sua tradizione sono un «bene immateriale», che non ha fini pratici, bensì di piacere e arricchimento personale. La sua utilità però è molteplice. Serve anzitutto a mantenere viva la lingua nella sua qualità di patrimonio comune.

Formare la lingua significa creare «identità e comunità», e vale più di ogni altro il riferimento a Dante, che con la lingua della Commedia ha costituto le fondamenta del modo di pensare e parlare anche di chi non abbia mai letto un suo verso. Le opere letterarie si offrono alla nostra interpretazione, che deve essere libera come è necessario per vivificarle, ma nel contempo rigorosa e fedele, rispettosa della «intenzione del testo». Termine e concetto, quest'ultimo, che implica una forte e precisa identità dell'opera letteraria, quanto basta a discostarsi, a mio avviso felicemente, dalle asettiche disamine dello strutturalismo di cui pure Eco si è occupato a lungo.

Dal punto di vista stilistico, si tratta di un testo argomentativo, prossimo a un piano divulgativo e didattico. Si direbbe pensato proprio per un discorso rivolto a una platea di studenti. Il lessico è perciò volutamente semplice e disadorno, costituito di termini per lo più di uso comune, con rare eccezioni di termini complessi anche sul piano semantico («poteri immateriali», «eresia critica» ?). La sintassi è a sua volta piana, lineare, esplicativa.

La seconda domanda della traccia si sofferma su uno dei paragrafi più ricchi e densi del testo, in cui riguardo all'italiano medio Eco chiama in causa prima la televisione, e così dà spazio a un possibile approfondimento sul ruolo di diffusione da essa esercitata, in un quadro di omologazione in cui Pasolini ha detto quanto c'era da dire. Poi Manzoni, i cui intenti ed esiti sul piano della costituzione di un italiano nazionale offrivano a loro volta ampio spazio a tutta la questione della lingua dall'Ottocento a oggi.

Eco parla di «potere immateriale» nel senso di un potere astratto, esercitato in modo non diretto e concreto, che può anche prescindere da valori spirituali. E qui si poteva parlare delle ideologie novecentesche, di opinione pubblica, di mode e miti che modellano l'immaginario collettivo. Si offriva inoltre ai candidati un ampio spazio di commento su come oggi il potere della tradizione letteraria abbia trovato dei soverchianti competitori nella Rete, nei social network, nel rapporto di controllo-dipendenza che soprattutto sui giovani esercita l'uso incessante dei nuovi cellulari e delle loro infinite e inesauste applicazioni.

Sulle ultime due domande credo di aver già dato indicazioni, mentre i nodi di quella che per me rimane una traccia infelice vengono al pettine dell'ultimo punto, in cui si chiedeva ai candidati di operare collegamenti e approfondimenti in ambito novecentesco. Ben pochi, com'è logico, potevano essere in grado di spaziare fra le molteplici ipotesi teoriche formulate sull'identità e il senso della letteratura nell'ultimo secolo, da Croce al Neorealismo, dalla Neoavanguardia ai nostri giorni. Il discorso si sposta sul piano della letteratura che riflette su se stessa, troppo ostico per i maturandi che forse avranno rimediato parlando di cosa essa ha rappresentato per loro, non solo a scuola ma nella realtà della vita. È sperabile che per più di uno su cento essa venga riconosciuta nel suo pieno valore. A parte le rare e preziose vocazioni, molto dipende dalla preparazione e dalla passione degli insegnanti che hanno avuto.

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