Crolla la politica, crolla l'Autonomia

Crolla la politica, crolla l'Autonomia

di Pierangelo Giovanetti

Il caso Baratter, come precedentemente la vicenda Pedergnana, sono due indicatori del livello di degrado e di vuotezza, a cui è giunta la politica, anche in Trentino.

Le foto con il saluto fascista e il bacio al duce da parte dell’ex presidente del Patt, e ora lo scambio denaro-sostegno elettorale  firmato dal capogruppo degli autonomisti con gli Schützen, la dicono lunga sulla qualità, preparazione, solidità politica e consapevolezza del proprio ruolo della nuova classe dirigente che si fa avanti.

Sarà la magistratura, nel caso di Lorenzo Baratter, a dire se è stato commesso reato. Quello che è certo, fin da ora, è l’inadeguatezza di Lorenzo Baratter a fare politica e a ricoprire ruoli istituzionali, se non si capisce che non si possono firmare patti di versamento di denaro in cambio di sostegno elettorale.

Anche non ipotizzando la malafede, uno che firma una roba del genere resta comunque uno sprovveduto, senza un’adeguata cultura politica (e forse anche etica), e pertanto inadatto a ricoprire ruoli nelle istituzioni.
Di stolta e superficiale sconsideratezza si può parlare anche per Carlo Pedergnana. Tutti comportamenti non compatibili con chi ambisce a incarichi politici e istituzionali.

Ancora una volta affiora uno dei limiti più pesanti e gravidi di conseguenze del partito autonomista che esprime il Presidente della Provincia di Trento: la mancanza di classe dirigente. E quella che ha, è spesso raffazzonata all’ultimo momento, ingolosita dagli spazi di potere che si stanno creando, fragile quanto a consistenza, spessore, visione politica.

Non che negli altri partiti si profili all’orizzonte una schiera di statisti, ma il Patt su questo versante deve ancora crescere molto.

Lo scadimento, quando non è vero e proprio imbarbarimento della politica pure di casa nostra, lo si vede anche - purtroppo - dalle modalità in cui viene esercitata l’azione politica. Entrambi gli episodi vengono alla luce all’indomani dei veleni del congresso del Patt, da poco concluso. In entrambi i casi chi era a conoscenza della vicenda (e ha reso possibile che diventasse pubblica), lo era da lungo tempo, ma ha taciuto. Ne ha fatto uso solo quando, per vendetta o convenienza politica, ha ritenuto di far fuori due ex  «amici», colleghi di partito o avversari che siano. Nessun grande slancio etico o politico, una semplice resa dei conti post-congressuale, con modalità tipiche - pur senza la lupara - di altre latitudini.

Una parola poi va spesa, sempre parlando di decadimento del senso della politica ma anche dei valori che vi stanno alla base, va spesa sull’inqualificabile comportamento di una realtà cultural-folkloristica come la Federazione degli Schützen, che ha predisposto un accordo del genere. Solo il pensarlo dimostra una totale mancanza di senso dello Stato e delle istituzioni (non solo quello italiano) da parte di una organizzazione di tal fatta, che non si scompone nel chiedere soldi in cambio di appoggio elettorale, e nel pretendere anche sostegno a proprio favore dagli eventuali eletti nello svolgimento delle loro funzioni istituzionali. Ma che concezione della politica hanno questi signori con le piume sulla testa e il cuoio sul sedere? Un qualcosa che si compera con il voto, e di cui poi si va all’incasso dopo le elezioni? Un bancomat dove attingere per acquistare nuove divise e le gonnelline fiorate delle vivandiere? Il teatrino dove inserire le proprie marionette con vincolo di mandato, che possano dire sì o no all’Adunata degli Alpini, tirando il filo del puparo?
Una riflessione seria va fatta, a questo punto, su chi in questi anni è stato finanziato dalla Provincia con ingenti soldi pubblici, e sul loro essere «associazione culturale» (ma dove? dov’è la cultura in tutto questo)? In Italia si direbbe: furbetti del quartierino. Di austroungarico non hanno niente, ma tanto del peggio di certi italici vizi.

Ciò che impressiona, anche in questi due ultimi episodi, è che la delegittimazione della politica viene dalla politica. Dai comportamenti indecenti, sia dei protagonisti che di quanti li arpionano in una guerra del marcio, screditandosi a vicenda.

Già s’era visto con il congresso dell’Upt, tutto impostato sulla delegittimazione dell’avversario, il discredito verso l’altro, l’accusa di usurpazione e il non riconoscimento reciproco.
Poi c’è stato il congresso del Patt, di cui ancora si scorgono gli effetti. Vedremo quello del Pd, se sarà in grado di risanare gli odi vicendevoli, i rancori e le voglie di rivalsa l’uno contro l’altro che sono stati finora la cifra caratterizzante del partito di maggioranza relativa.

Sull’opposizione c’è da stendere un velo pietoso: divisi, rissosi, contrapposti l’un l’altro. Perfino il Movimento 5 Stelle, appena approdato in consiglio, s’è spaccato il giorno dopo, lanciandosi vicendevolmente accuse impronunciabili, degne del peggior politicume. Per non parlare della Lega Nord, che si delegittima a vicenda fra i suoi maggiori esponenti, per questioni di soldi. Come ha fatto a livello nazionale, dai figli di Bossi in giù.
Tale delegittimazione della politica è la causa prima dell’antipolitica, della disaffezione al voto, del voltastomaco che prende il cittadino e l’elettore al momento di recarsi alle urne. Altro che legge maggioritaria che non incentiverebbe la partecipazione. È l’indecoroso comportamento della classe politica che dà fuoco al populismo divampante in Trentino, come nel resto del Paese.

È l’incapacità di costruire qualcosa insieme, e non solo di distruggersi a vicenda, per il gongolamento di quanti puntano al «tanto peggio, tanto meglio», poiché nel torbido sguazzano con più facilità. E magari raccolgono anche più voti, in nome della rabbia e della protesta.

Se il decadimento politico è grave in tutta Italia, da noi rischia di risultare mortale, perché la nostra Autonomia si legittima di fronte al resto del Paese se funziona, se è in grado di governare, e di governare bene. Lo Statuto speciale può reggere se c’è una classe dirigente all’altezza dell’autogoverno. Altrimenti per forza di cose la nostra Autonomia sarà assorbita dallo stato nazionale.
Lo dimostra ampiamente la riforma costituzionale del Titolo V: di fronte al fallimento totale della classe politica delle regioni a statuto ordinario, dimostratasi inadeguata a gestire le competenze ottenute con la riforma del 2001 e assetata solo di soldi e di potere, lo stato centrale si è ripreso quelle competenze.

Stessa sorte toccherà a noi, se non dimostreremo di «essere diversi», di avere una classe politica all’altezza dell’Autonomia, di poter vantare un consiglio provinciale che non si delegittima a vicenda, magari a colpi di dossier. La guerra per bande che sta maciullando la politica trentina, a cominciare dalla maggioranza al governo, rischia di avere effetti devastanti, non tanto sull’avversario politico (magari alleato insieme in giunta), quanto sull’intera classe politica dell’Autonomia, sull’intero consiglio provinciale. La situazione è a tal punto degradata e compromessa, che se affonda un pezzo del sistema non va a vantaggio di qualche altro pezzo, perché è l’intero sistema che crolla. Da Tangentopoli è uscito vincente Berlusconi (che ha segnato i vent’anni successivi) non qualche pezzo dei partiti della Prima Repubblica.

La delegittimazione che la politica trentina sta dando di se stessa con i suoi comportamenti, può sortire un unico effetto: mettere a rischio l’esistenza della stessa Autonomia. A quel punto sarà un gioco da ragazzi commissariarla. Ma in tal caso non potremo recriminare Roma, ma soltanto noi stessi.

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