Migranti, la grande lezione di Galantino

Migranti, la grande lezione di Galantino

di Franco De Battaglia

Monsignor Nunzio Galantino, il vescovo segretario generale della Cei al centro di forti polemiche per le sue dichiarazioni sull’accoglienza (mancata, insufficiente) agli immigrati, o meglio ai profughi di un mondo sempre più dilaniato e incapace di trovare una strada comune, ha preso, in questi giorni la via della montagna, ed ha raggiunto Sant’Antonio di Mavignola, piccola parrocchia di Rendena, fra Pinzolo e Campiglio. Qui, a ferragosto, ha celebrato la messa dell’Assunta. Non l’ha fatto per sfuggire alla guerriglia dei comunicati stampa ritirandosi in un eremo alpino, (il patrono di Mavignola è Sant’Antonio Abate, il primo degli eremiti) né solo per accogliere l’invito di don Ivan Maffeis, già direttore di «Vita Trentina», ora suo collaboratore alla Cei, che la comunità di Mavignola cura assiduamente nonostante (o meglio, proprio a ragione) dei suoi impegni romani. L’ha fatto per dare un «segno» ulteriore ad un confronto che va ben oltre la Cei, o il governo Renzi, o i rifiuti populisti del leghista Salvini. L’informazione non è fatta solo di interviste, ma anche di silenzi, di richiami a momenti alternativi di vita, e Mavignola è stato uno di questi momenti.

Il vangelo della giornata, dedicata a Maria Assunta, grande festa delle comunità contadine, quando sugli alpeggi dello Spinale si riunivano le genti delle valli di Non, Sole e Rendena per lo sfalcio del fieno, ma anche per una preghiera comune a metà delle fatiche d’agosto, ricorda come Maria «prese la strada dei monti» per andare a trovare la cugina Elisabetta, in attesa del piccolo Giovanni Battista. E il vescovo Galantino proprio dai monti ha voluto sottolineare come il riscatto dalle violenze e dagli egoismi che sembrano oggi togliere speranza al futuro, possa venire dalla solidarietà che le comunità cristiane sanno esprimere, accogliendo quel rovesciamento di valori che Maria ha operato nella storia. Maria non solo ha «accolto» una vita, ma ha voluto «magnificare» il Signore - renderlo grande - ribaltando i parametri del potere dominante. Nella risposta al saluto di Elisabetta Maria innalza gli umili, invece di escluderli, si identifica con chi ha fame , respinge il potere anche quando si annida fuori dalle istituzioni, nei cuori umani, avvolgendoli di egoismo.

«Fame, umili …». Nel silenzio della chiesetta di Mavignola, stipata di residenti e turisti in una sera piovosa, il vescovo Galantino ha richiamato con queste parole semplici lo scenario epocale che sta scuotendo l’Italia e tutto l’Occidente. Nel primo saluto di benvenuto, a nome dell’intera comunità, Giovanna Binelli aveva ricordato al vescovo la bellezza delle montagne trentine, ma anche la tragedia della Grande Guerra sull’Adamello, cento anni fa, con le migliaia di giovani morti e i milioni di profughi sradicati dalle loro case. E Galantino, richiamandosi a ferite e cicatrici ancora aperte, aveva risposto ricordando - nelle parole di papa Francesco - come la tragedia degli immigrati derivi da «un’altra guerra» in corso - questa è la verità - una guerra diffusa, intermittente, rimossa, ma non meno nefasta per i drammi e i dolori che suscita. È stato questo il senso vero dell’incontro a Mavignola, richiamare la consapevolezza degli uomini e delle donne di buona volontà, oltre le grida e le strumentalizzazioni. In questo senso va inteso il ringraziamento al vescovo per aver voluto «scuotere le coscienze», per aver usato parole anche forti (finalmente fuori dal «politically correct», potremmo dire) con l’invito ad «aprire l’anima all’accoglienza». Aprire l’anima viene prima, ed è forse più importante, che aprire i paesi.

Questi momenti di dialogo fra una piccola chiesa alpina e la dimensione globale delle tragedie d’oggi, fra le grida scomposte dei potenti e le parole evangeliche di duemila anni fa, fuori da strumentalizzazioni mediatiche per cercare davvero un incontro di speranza, hanno dato la vera cifra di ciò che significhi il fenomeno degli immigrati, dei profughi. Non è un’emergenza, è il nodo di tutte le contraddizioni, economiche, politiche ed esistenziali della società occidentale, delle guerre esportate non «per la democrazia», ma per controllare le ricchezze e saccheggiare popoli e il creato (come denuncia anche l’ultima enciclica «Laudato sii»). È il corto circuito di una cultura che abolisce il lavoro per il profitto, che riduce lo sviluppo a decimali di Pil, che fa «emigrare» i suoi stessi giovani, spinti ad approdare alle discoteche dello smarrimento, dispensatrici di un frastuono d’oblio spesso mortale. L’emergenza droga è ben più grave dell’emergenza profughi. Al tempo stesso i «profughi» chiamano in causa l’essere cristiani oggi, in una società complessa e frantumata. Che significa? Certo il fenomeno «immigrazione» deve essere affrontato con strumenti politici e con iniziative culturali e sociali precise. Ma una società cristiana non può prescindere dal Buon Samaritano, dall’accoglienza verso il «prossimo», verso chi si trova vicino, anche suo malgrado, anche se è straniero, diverso. Poi tocca agli ospizi, alle istituzioni, ma prima spetta agli uomini, alle donne, ai paesi, all’accoglienza. E la Chiesa «deve» parlare, deve denunciare le contraddizioni, le ingiustizie, i populismi, altrimenti si riduce ad essere semplice custode di spiritualità private, cappellano del potere dominante all’ombra di raffinate teologie. In questo senso l’incontro di Mavignola è stato una grande lezione di umanità e cristianità.

Domani il vescovo Galatino sarà a Pieve Tesino, un altro piccolo paese della montagna trentina, per il tradizionale, ma sempre più attuale incontro degasperiano. Sarà lui a tenere la «lectio» su «De Gasperi e la ricostruzione», il ruolo dello statista trentino nel rimuovere le macerie fisiche e morali della guerra, delle due guerre che attraversarono la sua vita e l’Europa. Anche oggi occorre riscostruire su molte, troppe macerie. È forse un segno di speranza - e sicuramente una sfida di coerenza - che una ricostruzione possa avviarsi partendo da due piccoli paesi del Trentino, Mavignola e Pieve, da umiltà e silenzi che non vanno dispersi.

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