Il segreto del Bayern: una straordinaria normalità

Il segreto del Bayern: una straordinaria normalità

di Stefano Parolari

Scene di ordinaria normalità. Di vero sport, di sinergia di intenti tra protagonisti e tifo. In Germania. Stadio Allianz Arena di Monaco di Baviera. Il 6 a 1 che la squadra di Pep Guardiola, nel quarto di Champions League che doveva cancellare l’1-3 di Oporto, ha rifilato ai rivali che speravano di non venire travolti, è stato festeggiato alla fine con i tifosi. In 70mila hanno goduto di questo orgasmo agonistico, quasi tutti azionisti della polisportiva Bayern che si è assicurata incassi favolosi e garantiti in campionato e in coppa così poi da investire sulla qualità del futuro, hanno partecipato ad un’appendice che abbiamo lungamente seguito sulla Zdf. Non ci sono i «Gennaro a’carogna», in questo caso, non ci sono i capibanda serbi con il passamontagna sul volto, non ci sono i capi ultra con il porto d’armi, che fuori dallo stadio assassinano i Ciro Esposito della situazione, non ci sono i facinorosi che parlano con i capitani di alcune società italiane – è successo nella capitale tricolore – che orchestrano la ripresa o meno di un match, alla faccia di questori e prefetti, come quando si diffuse la notizia che era stato ferito gravemente – un falso clamoroso – un bambino.

Tutti abbracciati e in ginocchio davanti ai loro tifosi, i giocatori del Bayern hanno condiviso la soddisfazione di una serata da leggenda e di una conquista importante, la quarta semifinale consecutiva in Champions League. Thomas Muller, il campione del mondo in Brasile e colui che a Riva del Garda al Du Lac nel ritiro bavarese sul Garda storse il naso alla nostra domanda («Verresti a giocare in Italia?»), ha impugnato, dopo esserselo andato a prendere salendo fino alla comoda prima barriera del «muro» dei tifosi, un megafono per intonare inni di gioia e di condivisione nell’amalgama di tripudio, tra i dipendenti della società che giocano in campo e i fruitori di un servizio all’altezza partecipando direttamente all’evento.

Datemi un H – dammi un U – dammi un M – dammi un B – dammi un U – We Sing Humba, Humba, Humba, Täterä!

È l’inno della festa del Bayern Monaco, ma più precisamente è l’inno per festeggiare una vittoria che si sente in molti stadi della Bundesliga. 

[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"270731","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"608","width":"814"}}]]

Ma è così da anni a Monaco grazie alla mentalità che è incuneata nei tifosi e che si tramanda da padre in figlio. Eravamo al vecchio stadio olimpico di Monaco, nell’ottobre del 2002, ad assistere allo show del Milan che con una doppietta di Pippo Inzaghi – altri tempi – espugnò l’Olimpia stadion, infilzando quel portierone che è stato Oliver Kahn oggi commentatore equilibrato e senza picchi di isteria, come capita spesso in casa nostra, mentre condivideva l’intervista con il capitan Lahm. In quel caso i tifosi, che già erano indirizzati sul progetto Allianz Arena che trovò qualche anno dopo il suo compimento, incassarono, mangiarono wurstel e bevvero birra a fiumi. Anche una sconfitta ha un valore. L’altra sera all’Allianz, costruita per far stare il pubblico più vicino possibile senza temere che qualche esagitato procuri ritardi o tensioni, un Bayern privo di Robben, Ribery e Schweinsteiger, ma che ha ritrovato Thiago Alcantara e Levandowski, ha fatto capire quanto sia fondamentale giocare per far divertire il pubblico e per soddisfare chi ha sborsato fiori di euro per dare fiducia ad un team che sta vincendo l’ennesimo scudetto e che si ripresenta nel poker delle migliori d’Europa. Società che ha il merito di aver assorbito lo scandalo del suo presidente, quell’Hoeness finito dietro le sbarre per reati fiscali (e da quelle parti che sbaglia paga), e di aver costruito un altro progetto da prima squadra di spicco con mister Pep Guardiola, il latino che tra quei per nulla ora freddi tedeschi del Sud si sta trovando a suo agio, anche con un evidente strappo ai pantaloni, simbolo della sua continua frenesia in panchina.

Una società che si è rialzata da quel marzo 2011, ottavo di finale contro l’Inter che stavolta guidata da Leonardo era la società che li aveva battuti, con Mourinho in panca, nella finalissima di Madrid. Eto’o, il camerunense che fece sognare i nerazzurri, segnò subito, poi iniziò la rumba bavarese e quasi gli interisti stavano facendo la fine dei portoghesi di martedì sera. Ma alla fine dei primi 45’ tedeschi avanti «solo» 2 a 1. Così nella ripresa dopo un gol fallito da Gomez, ecco la squadra italiana trovare le stoccate giuste con Sneijder e Pandev. Signorile fuoriuscita dalla Champions (ci pensò poi un’altra tedesca, lo Schalke ha mandato fuori nei quarti l’Inter) e complimenti agli italiani. Quelli che se la cavano sempre. Ma da allora poca gloria per l’Italia in Champions (la Juve di Allegri magari ci può smentire) e invece tanta, tantissima per il progetto Bayern. A misura di tifoso. A capacità di intelligenza imprenditoriale. A volontà di bandire estremismi e violenza. E quel Muller con il megafono sia un esempio.

 

comments powered by Disqus