Leadership e idee, ciò che manca al Patt

Ciò che manca al Patt

di Pierangelo Giovanetti

Le elezioni comunali di maggio costituiranno un banco di prova dei nuovi equilibri e rapporti di forza all'interno della coalizione di centrosinistra autonomista, al governo in Provincia come in molti comuni trentini. Ad un anno e mezzo dal varo della giunta Rossi, il test elettorale ha immesso nel Patt un'inquietudine da ansia di prestazione nella speranza di «lucrare» vantaggi dall'averne il proprio leader a capo. Non passa giorno che il segretario delle Stelle alpine Franco Panizza non si attribuisca il ruolo di «partito di raccolta» sul modello della Volkspartei sudtirolese.

La politica sfrontata con cui ha avviato la campagna acquisti di «ex» pescati negli altri partiti, dichiarando espressamente la trasversalità del progetto come era l'Asar nei primi anni del dopoguerra, ha accresciuto il livello di litigiosità e di tensioni nella maggioranza, già poco compatta di suo, mettendone a repentaglio la tenuta, come s'è visto peraltro in molti comuni. Ora, l'ambizione di approfittare delle debolezze altrui, in particolare l'Upt in cerca di identità, e il Pd, macerato e paralizzato dalle troppe identità e linee politiche, pur legittima rischia di essere destabilizzante, se poi non si hanno i numeri, gli uomini, le idee e la capacità di leadership e di amalgama sull'intera coalizione.

Lo stesso braccio di ferro nel comune di Trento su chi prenderà più voti, dopo il Pd, per contendersi con l'Upt-Cantiere democratico il ruolo di vicesindaco, può portare a fratture difficilmente rimarginabili, se poi non si riesce a farsi carico dell'unitarietà della coalizione, al di là del proprio spicciolo tornaconto elettorale.


Voler essere un partito leader richiede poi due condizioni che, al momento, il Patt non dispone. O non dispone a sufficienza. Primo avere una classe dirigente: ampia, diffusa, solida, strutturata, affidabile, capace di leadership. Secondo, avere progetti e idee attorno a cui costruire consenso, per non basarlo sulla semplice promessa di posti di sottogoverno e piccoli «do ut des», che fanno tanto Psdi della Prima Repubblica, ma non un partito leader.

Senza dubbio cresciuto in termini di voti, come s'è visto alle ultime elezioni provinciali, e ampliato nella base sociale, per lo meno nella tipologia delle candidature, il Patt però non possiede ancora una classe politica strutturata. L'attivismo che svolge lo stesso segretario Panizza sul piano partitico, insieme a quello istituzionale di Rossi, sono indicatori che la classe dirigente che il Patt esprime è alquanto limitata e, al di là dei due leader, può contare su poc'altro.

Voler essere qualcosa di più che il partitino degli Schützen e degli jodel di montagna richiede certamente il processo di rinnovamento messo in atto dal Patt in questi anni, e l'ampliamento del repertorio e dei cavalli di battaglia che ne costituiscono l'ossatura politica. Il trilinguismo e l'unificazione dei comuni, come pure internet superveloce e la semplificazione amministrativa, sono esempi che segnano una discontinuità dal passato. Ma non basta. Essere un partito «di governo» richiede una classe dirigente, e il Patt non può pensare di crearsela ingaggiando semplicemente fuoriusciti dagli altri partiti, personaggi che si sono già candidati in più e più versioni, spesso con giravolte ardite e una cospicua dote di facciatosta.

Se il Patt si è trasformato, e ha cambiato il suo linguaggio e i suoi temi politici, deve anche impegnarsi a far crescere una classe dirigente nuova, formarla, organizzarla, strutturarla, darle robustezza, pure culturale, di pensiero, di visioni, di orizzonti, di elaborazione. Anche per concorrere al posto di vicesindaco di Trento serve classe dirigente, serve spessore politico, serve sguardo e acume. Tanto più se fra cinque anni chi farà il vicesindaco stavolta, si troverà candidato a fare il sindaco, secondo la prassi in uso.


Un secondo equivoco che il Patt non ha ancora superato è il ritenere che il consenso si acquisisca in virtù dei posti di sottogoverno assegnati e dei «piaceri» garantiti. L'affanno ad occupare con propri uomini poltrone e poltroncine di cda, cariche le più disparate, posti di vertice pur non avendo le figure adeguate a ricoprirli, è frutto dell'idea che più pedine si piazzano più si esercita «peso politico», si controlla il territorio, si moltiplicano voti. In parte può essere vero, ma solo in (minima) parte. Disporre di posti di sottogoverno può essere collaterale quando si ha una classe di governo capace di realizzare idee e progetti di governo, in grado di indicare prospettive di lunga durata. È eventualmente il contorno, non il piatto forte per costruire il consenso attorno al proprio progetto politico.

Su questo punto il Patt non è cresciuto a sufficienza, non ha superato i vizi del passato, certi riflessi condizionati dell'era Tretter. È indispensabile però liberarsi ed emanciparsi da quei comportamenti e da quei modi di ragionare, se si vuole esercitare un ruolo politico non di contorno nel Trentino dei prossimi anni.

Altrimenti la gara a «chi ce l'ha più lungo», che in questa campagna elettorale ahinoi sembra il tema dominante, è destinata a sconfinare nel ridicolo. Ma soprattutto risulterà sterile, e non porterà alcun giovamento al miglioramento della politica e dell'amministrazione in Trentino. Anzi, segnerà un inequivocabile arretramento.

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