Panizza, da padre Kino all'incubo profughi

Panizza, da padre Kino all'incubo profughi

di Gigi Zoppello

La sera prima era in Val di Non a tessere le lodi di padre Kino, il missionario noneso che portò il Vangelo fra gli indios di Arizona e California e difese quelle tribù dallo sterminio dei bianchi. Il giorno dopo me lo ritrovo sul giornale a dire che i profughi andrebbero rinchiusi nei recinti delle caserme. Il senatore Franco Panizza non solo mi ha spiazzato, ma mi ha fatto anche arrabbiare. Al nostro senatore, per cominciare, andrebbe ricordato che è stato eletto con i (molti) voti del Pd, e che quindi a Roma come a Trento, dovrebbe anche sottoscrivere qualcuno dei punti del programma del partito, o almeno riportare le sensibilità di chi lo ha eletto. Ma questo è un discorso politico.
C’è un altra parte delle sue dichiarazioni, invece, che appartiene a quella che un tempo veniva definita «compassione». La compassione è la base di tutte le religioni, dal buddismo al cristianesimo. Provare compassione per i propri fratelli è il «minimo sindacale» dell’essere uomini di buona volontà. Nelle dichiarazioni del senatore Panizza, invece, io di compassione non ho trovato traccia.

Dice di sfuggita che «La demagogia del rifiuto non funziona» ed è l’unica frase in cui sembra far balenare un riflesso pallidissimo di compassione. Poi, semplicemente, tratta «i profughi» come oggetti. Ne definisce la quantità, l’ingombrante presenza, il trasporto, parla del loro arrivo in termini di logistica come se parlasse di gabbioni di mele. Infine detta le sue conclusioni in termini di segregazione. Perché la sua proposta - brutalmente - è questa: rinchiuderli.
A Panizza non importa il fatto che non si possano mettere nelle caserme «che hanno recinti sempre chiusi e cancelli con sorveglianza», poichè non sono detenuti. Questo vizio di fondo tipico anche dell’amministrazione statale (i cosiddetti «Cio» sono stati un insulto all’umanità, purtroppo in qualche caso non troppo dissimili dai lager) ci allontana da ogni fondamentale dovere di dare aiuto ai profughi sancito anche dall’Onu.
Il profugo è un uomo o una donna (spesso un bambino) che ha dovuto lasciare la sua terra, la sua famiglia, la sua gente per sfidare la morte cento volte pur di salvarsi. Ed è inaccettabile, secondo me, che un politico ne parli come si parla di un pacco, o di un gabbione di pomi. E ancor più inaccettabile che proponga di rinchiuderli.

Perché mai i profughi avrebbero bisogno di recinti chiusi e di controlli a vista? Nessuno di quelli finora giunti qui da noi ha commesso il benché minimo reato. Anche se a Marco di Rovereto qualcuno ha provato a far credere che uno di loro avesse violentato una donna bianca. Rileggere le dichiarazioni di alcuni politici, in quei giorni, fa rabbrividire. Ma nessuno è andato poi dai giornali a chiedere scusa: possa vivere con la vergogna nel cuore per tutto il resto dei suoi giorni.
C’è poi una cosa che angustia Panizza: «se sono troppi rischiano di creare problemi». Ma sarebbe bello farsi spiegare da lui quale sia la cifra per considerarli «troppi». In questo momento, in Trentino, sono meno di 50. In futuro, se dovesse succedere, abbiamo dato la disponibilità ad accettarne 400, ovvero 1 per ogni mille abitanti. Davvero il senatore Panizza pensa che - per una provincia di 400 mila abitanti - sia un problema gestire l’accoglienza di 400 persone in fuga dalla miseria e dalla guerra? E poi, quanti sono i «troppi»? Ventisette? Quarantadue? Novantanove? Trecentosei?

Infine il suo incubo: «ci ritroviamo qui mezza Africa». Mi permetta, senatore Panizza, di ricordare una cosa: se di colpo cessasse l’immigrazione verso l’Italia, il nostro Paese avrebbe si e no 5 anni di autosufficienza. Senza gli stranieri, non ci sarebbero abbastanza contributi Inps versati per pagare le nostre pensioni, né le pantagrueliche indennità che percepiscono tutti i mesi i nostri 945 parlamentari (Panizza compreso).
Inoltre ricordo che ormai da molto tempo in Italia gli anziani hanno superato il numero dei bambini: la nostra popolazione invecchia rapidamente, perde forza lavoro, declina, si spegne. La dura legge demografica - natalità vicina allo zero - ci corrobora: abbiamo un futuro solo se verremo invasi da «mezza Africa», in caso contrario siamo destinati ad estinguerci. E pazienza se i nostri bis-nipoti avranno la pelle un po’ più scuretta. Se lo vorranno, potranno anche loro mettersi le braghe di cuoio e il cappello piumato. E siccome qualcuno ne conosco, rassicuro Panizza: parleranno anche in dialet.

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