Trentino addormentato: eccesso di burocrazia

di Paolo Mazzalai

L’editoriale del direttore dell’Adige sul «Trentino addormentato» per i troppi soldi pubblici ha il pregio di stimolare il dibattito su un tema non più rinviabile: la revisione del nostro modello di sviluppo.
L’analisi è condivisibile negli effetti che descrive sul sistema produttivo trentino. I numeri parlano chiaro. Preoccupano soprattutto la scarsa dinamica del Pil procapite e la bassa produttività del lavoro.
Sulle cause possiamo interrogarci a lungo. Di certo dobbiamo trovare le contromisure più adeguate e dobbiamo farlo al più presto. Non c’è più tempo, in questo processo di metamorfosi dell’economia, in cui Roma continua a chiedere sacrifici sempre maggiori, senza interventi strutturali adeguati.
Certo, ci sono interi settori che negli anni sono stati sostenuti dalla domanda pubblica e dai finanziamenti provinciali. Non sorprende che, nel momento in cui questi vengono meno, la loro performance peggiori. In bassa marea riesce a navigare solo chi conosce bene il mare. Ma devo anche dire – e questo mi conforta – che nel mio ruolo di presidente di Confindustria Trento incontro molti imprenditori che hanno strategie chiare, investono, rischiano e crescono anche in un periodo di crisi. Con o senza contributo pubblico.


Parlo delle aziende che negli anni hanno saputo applicare quella che io chiamo «ricetta delle tre i»: istruzione, innovazione e internazionalizzazione. Perché le risorse umane sono la base di qualsiasi intrapresa. L’innovazione è necessaria per tenere testa alla concorrenza. E la presenza sui mercati esteri è imprescindibile, soprattutto in un contesto di domanda interna fiacca. L’analisi annuale dei bilanci delle imprese trentine che stiamo completando in questi giorni ci conferma che le aziende che innovano ed esportano stanno crescendo anche in questi anni difficili. Per rigenerare il tessuto produttivo è necessario innestare nuovi germogli. Ma, prima di seminare nuova imprenditorialità, è necessario preparare il terreno.


Non credo, infatti, che sia sufficiente ridurre o eliminare i contributi pubblici per risvegliare gli «spiriti animali» dell’economia trentina. Si deve tagliare la spesa corrente, ormai insostenibile. È una questione di sopravvivenza della nostra Autonomia. Inoltre, il pubblico non deve essere sul mercato laddove è presente un’adeguata offerta privata. Infine, ma altrettanto importante, va arginata la burocrazia. Abbiamo un livello normativo che non ha eguali in Italia. Un’overdose di norme europee, nazionali e locali che condizionano ogni aspetto della vita di imprese e cittadini. Il governatore Rossi dice che dobbiamo incrementare il Pil provinciale.Ma non dobbiamo dimenticare i dati.
L’industria trentina versa il 50% del gettito Irap incassato dal bilancio provinciale. I dipendenti delle imprese industriali versano il 21% del gettito Irpef. Si tratta di una buona fetta delle entrate provinciali, senza le quali risulterebbe difficile sostenere la spesa pubblica. Compresi gli stipendi dei dipendenti provinciali.


È giusto, dunque, puntare a risvegliare lo spirito imprenditoriale in quei settori in cui può essere stato anestetizzato dalle risorse pubbliche. Ma bisogna anche aumentare la consapevolezza tra i cittadini sull’importanza del ruolo delle imprese, a prescindere che uno sia impiegato in azienda, in banca o nel settore pubblico. Serve un’amministrazione più business-friendly. In altre parole, serve più tifo verso le imprese. Altrimenti rischiamo di accorgerci della loro importanza quando sarà troppo tardi. Nel mondo i Paesi più avanzati hanno potenziato le proprie politiche industriali e hanno riconosciuto la centralità del manifatturiero per fare ripartire le rispettive economie nazionali. Impressionante è lo sforzo dell’amministrazione Obama per rilanciare il manifatturiero Usa, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Perfino Marchionne ha ammesso che senza l’intervento del governo americano l’attuale Fiat-Chrysler non esisterebbe. L’Italia, e di conseguenza il Trentino, non può fare a meno dell’industria o accettare passivamente un suo ridimensionamento. L’industria è il cuore dello sviluppo tecnologico, che determina a livello locale una forte domanda di servizi: è il mercato di riferimento per il terziario avanzato, per la logistica, per molte piccole aziende e lavoratori autonomi che lavorano nell’assistenza o nella subfornitura per le imprese più grandi.

Serve una politica industriale per l’economia trentina, che riparta dal manifatturiero e non si faccia incantare da quanti pronosticano – e magari auspicano – la sostituzione dell’industria con i servizi, il turismo e la cultura.
Il deperimento del nostro tessuto industriale avrebbe conseguenze drammatiche per il nostro futuro. Per questo è bene parlare di politica industriale. Perché il futuro dell’industria è legato a doppio filo con la sopravvivenza della nostra comunità.

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