Il mondo dopo la crisi: profit e no-profit ora convergono

di Michele Andreaus - No

Anche e forse soprattutto a seguito della crisi economica e sociale che attanaglia l’Europa, cresce l’attenzione a forme di imprenditorialità diverse e innovative, che riguardano da un lato la ridefinizione complessiva dei servizi sociali (intesi in senso lato), con la nascita di forme di imprese innovative non solo nei contenuti, ma anche e soprattutto negli approcci e nelle forme istituzionali, dall’altro imprese volte alla creazione di valore economico (for-profit), ma attente agli aspetti della sostenibilità economica, sociale, ambientale e istituzionale. Il concetto stesso di sostenibilità si è evoluto.
In un passato recente il dibattito scientifico era basato più sul termine di responsabilità sociale, dove l’impresa tendeva a farsi carico di istanze sociali volontariamente. Prima ancora tali istanze trovavano risposta in un comportamento spesso «paternalistico» delle imprese.

La sostenibilità fa oggi riferimento ad un’azienda, profit o non profit che sia, che è in grado di raggiungere il proprio fine istituzionale in modo continuativo nel tempo, con una visione di lungo termine. Rappresenta quindi una dimensione a 360 gradi, in quanto un’organizzazione è sì sostenibile se in grado di raggiungere il proprio fine istituzionale, che può essere schematicamente ricondotto alla creazione di valore economico (aziende for profit) e valore sociale (aziende non profit), ma affinché vi sia una sostenibilità istituzionale (l’essere efficaci), è necessario il rispetto di vincoli ben precisi. Innanzitutto una sostenibilità economica e finanziaria: ogni organizzazione deve essere efficiente. Poi una sostenibilità sociale: ogni organizzazione deve avere un rapporto positivo con i propri interlocutori, con l’ambiente e più in generale con la comunità nella quale è inserita. Non esiste un automatismo tra l’essere non profit e la sostenibilità sociale: vi sono casi di fine sociale perseguito in modo socialmente non responsabile. Oppure il lavoratore della cooperativa o della ong potrà anche essere sensibile al fine sociale, ma questo non necessariamente vuol dire accettare condizioni di lavoro peggiori e così via.

È in questo humus che nasce il grande dibattito attorno all’innovazione sociale, che riguarda certo il settore dei servizi sociali, ma anche quello delle imprese for profit, dove vi possono essere iniziative in grado di generare contemporaneamente valore economico e valore sociale.
Pensiamo ad esempio al premio vinto in Germania nei giorni scorsi da Aquafil, che fa business riciclando le reti da pesca abbandonate nel mare. Certo, sarebbe più facile adottare processi produttivi più tradizionali e fare una bella donazione, pubblicizzata sul loro sito, a qualche organizzazione ambientalista. Questo esempio rappresenta però a mio avviso vera innovazione sociale (e sono contento che sia un’azienda trentina a farlo): si crea valore economico, si creano opportunità di lavoro anche in paesi in via di sviluppo, si crea un impatto ambientale positivo, in una logica win-win.

In queste poche righe ho cercato di sintetizzare una delle frontiere del dibattito manageriale. Tale dibattito è talvolta condizionato in Italia da varie correnti di pensiero che antepongono alla gestione lo schema giuridico. In altri termini, secondo tale filone di pensiero, solo la presenza di determinati schemi giuridici, consente di parlare di innovazione sociale. Il dibattito manageriale è invece più pragmatico e lo schema giuridico viene visto come funzionale alla realizzazione di un progetto, non come il punto dal quale partire.

Ecco quindi che, di fatto, soprattutto in contesti anglosassoni, stiamo assistendo ad una progressiva convergenza tra aziende for profit, attente alla sostenibilità del loro business, e aziende non profit, attente non solo alla creazione di valore sociale, ma ad una sostenibilità anche imprenditoriale della loro attività, il tutto in un’ottica di lungo termine. Tutto ciò può dare una risposta alla crisi del welfare che conosciamo, la cui tenuta è stata messa in crisi dai processi di globalizzazione e dall’aumento delle aspettative di vita, che hanno anche determinato nuove forme di fragilità sociale.

Ecco quindi che Sostenibilità, Responsabilità, Partecipazione attiva, Solidarietà e Intrapresa innovativa, saranno sempre più spesso le parole chiave che contraddistingueranno i progetti di Social Innovation, e di business sostenibile. Rappresentano i pilastri di una nuova e necessaria coesione sociale, capace di dare una risposta di lungo periodo, efficace ed efficiente, ai sogni di futuro delle nuove generazioni.
Questa declinazione del concetto di innovazione, che non è quindi solo tecnologica, pone importanti sfide manageriali e strategiche alle organizzazioni aziendali, data la difficoltà di progettare soluzioni gestionali, finanziarie, di misurazione dell’impatto sociale e di identificazione di strutture e processi organizzativi al fine di combinare creazione di valore sociale e sostenibilità economica. La partita va però giocata, in quanto questo approccio consente, se gestito correttamente da tutti gli attori in campo, di attivare risorse, di ricreare quel capitale sociale e intellettuale che forse si è un po’ perso anche in Trentino, e proprio qui vi sono tutti gli ingredienti per divenire un laboratorio a livello internazionale su questi temi, magari attivando un processo dal basso e non guidato dalle cabine di regia, che hanno un ruolo fondamentale, ma forse sono prigioniere di quegli schemi giuridici che impediscono di cogliere quella vivacità che invece si ritrova tra i fili d’erba del prato, arrivando talvolta a contrastarla, in quanto in grado di mettere in discussione dogmi inevitabilmente destinati a saltare.

Per approfondire questi temi, la Trento School of Management e l’Università di Trento, in collaborazione con il Center for Business in Society dello Iese, una delle più prestigiose business school al mondo, hanno definito un percorso formativo di alto livello, destinato a manager coinvolti nell’ampia area della responsabilità sociale d’impresa, nella gestione di imprese sociali o organizzazioni non profit e di agenzie pubbliche. Attraverso cinque incontri, coinvolgendo docenti delle più importanti business schools al mondo, tra le quali il Mit di Boston e l’Università di Edinburgo, si affrontano tali temi, cercando di porre a confronto le principali esperienze a livello internazionale con l’approccio tipico delle scuole internazionali, fortemente basato sull’analisi dei casi e sul confronto d’aula. Il corso vede la partnership di importanti organizzazioni del mondo non profit e a cavallo tra i due mondi, a dimostrazione di un possibile dialogo. I partner dell’iniziativa sono Unicredit Foundation, Cesvi, una delle più importanti ong nazionali, Young Foundation di Londra, la Fondazione S. Patrignano e la Fondazione Trentino Università. Tutte le informazioni si possono trovare sul sito della Trento School of Management.

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