Perché non va chiusa la Rai di Trento

di Alberto Folgheraiter

 Rischia di passare sotto colpevole silenzio il «suggerimento» del capo del governo di rottamare le sedi regionali della Rai e di vendere, magari al concorrente Berlusconi, Raiway, la società che da qualche anno gestisce gli impianti di trasmissione.
I dipendenti della sede di Bolzano possono dormire sonni abbastanza tranquilli.

La Provincia autonoma di Bolzano finanzia infatti con venti milioni di euro l’anno le trasmissioni in lingua tedesca e ladina. Agli 86 lavoratori della sede di Trento della Rai è invece consentita qualche fondata preoccupazione sul loro futuro. Né a fugare timori di uno smantellamento della struttura di via Perini sembra essere servito l’incontro chiesto e ottenuto la scorsa settimana dai rappresentanti sindacali di tecnici, impiegati, programmisti e giornalisti, con il governatore della Provincia, l’autonomista Ugo Rossi.
Il quale, peraltro, ieri mattina, come informa un comunicato dell’ufficio stampa «ha ribadito in giunta la preoccupazione e l’attenzione verso la vicenda. La Provincia autonoma di Trento si muoverà dentro la Conferenza delle Regioni -  ha dichiarato Rossi - perché siamo convinti che il servizio pubblico deve garantire un sistema regionale anche sul fronte dell’informazione. Siamo molto attenti a questa delicata fase di riorganizzazione del sistema Rai, perché è decisivo che il servizio pubblico, che è di tutti i cittadini, continui a garantire le informazioni a carattere locale».
Ancora: «Certo non è nostro compito entrare nel merito della riorganizzazione ma il servizio pubblico radiotelevisivo a carattere locale deve esserci».
Meglio di niente. Anche perché non è che in piazza Dante, in questi anni, si siano sbracciati per la Rai di Trento.
Del resto che interesse potrebbero avere gli amministratori pubblici provinciali per un’azienda che non controllano, che non li blandisce come vorrebbero, che consente loro lo spazio di un francobollo sulla cartolina, quando hanno a completa disposizione un paio di emittenti televisive private. Le quali, anche in virtù delle praterie che si sono dispiegate con l’avvento del digitale terrestre, possono far pascolare a sazietà i rossi e i neri, dal presidente all’ultimo consigliere. Oltretutto, un efficiente ufficio stampa e pubbliche relazioni, messo in piedi in tempi non sospetti, provvede a rifornire di foraggio fresco (immagini, comunicati stampa e quant’altro) oves et boves et universa pecora. Gratis? Ecco, su questo ablativo plurale di «gratia» che vuol dire «bontà, grazia, benevolenza» ci sarebbe qualcosa da dire.
La Rai ci succhia il canone! Obiettano coloro che, magari, il canone non lo pagano punto. In verità, è detto «canone Rai» in modo improprio, poiché si tratta di una tassa tout-court. Una tassa di possesso che, in base al Regio decreto del 21 febbraio 1938, dovrebbe pagare allo Stato «chiunque detenga uno o più apparecchi atti alla ricezione delle radioaudizioni».
Lo Stato, sulla scorta di una convenzione di servizio, riversa poi alla Rai una buona fetta di quanto percepito dai contribuenti. Basterebbe stanare gli evasori (l’idea di far pagare il canone con la bolletta della luce è durata lo spazio di una notte) e il governo troverebbe le risorse chieste di ritorno dalla Rai.
I conti sono presto fatti: gli italiani sono 60milioni e 626mila; le famiglie italiane sono 25milioni e 175mila. Di queste, il 73% paga il canone (il dato è riferito al 2012). Più di un quarto dei possessori di apparecchi televisivi sfugge all’erario.
Gli abbonati, ovvero: coloro che ammettono di possedere un televisore e ne pagano il prescritto canone, in Italia sono 16.717.867; 1.753.907 al 31 dicembre 2012 risultava moroso. Soltanto il mancato pagamento da parte di questi ultimi è costato alle casse dello Stato la non disprezzabile somma di 199 milioni di euro e qualche spicciolo. Ben più di quanto il presidente Renzi chiede alla Rai per il 2014.
In provincia di Trento, dove le famiglie sono 225mila, pagano il canone in 158mila con un’evasione del 24%; in provincia di Bolzano, l’evasione del canone risulta più contenuta: 16%.
Basta questo per dire che la sede di Trento della Rai va chiusa e magari accorpata a Venezia (antico e mai smentito progetto dei vertici romani dell’Azienda)? Si vuole tornare a una situazione di sudditanza (allora da Bolzano) com’era prima del 1979?
Se la Rai è un patrimonio culturale della Nazione, la sede regionale di Trento deve essere patrimonio della comunità trentina. I colleghi che alla Rai lavorano (con le mani legate da lacci e lacciuoli di un centralismo romano che non ha mai praticato l’esercizio della delega; con la bocca cucita da disposizioni aziendali) non sono degli intoccabili. Come in tutte le aziende ci sono professionisti eccellenti e miserevoli cialtroni. La Rai è lo specchio del Paese, ne riproduce pregi e difetti. Questi ultimi si notano più facilmente perché per troppo tempo gli eletti della politica, spesso i peggiori, ci hanno messo il becco. Tanto i danni li ha sempre pagati qualcun altro.
Quanti proseliti ha fatto il populismo un tanto al chilo di chi, anche con responsabilità istituzionali, in anni passati ha usato la tassa, detta «Canone Rai», per distogliere l’attenzione dal trogolo nel quale grufolava e si pasceva?
Non è rompendo lo specchio delle sedi regionali che si fa un servizio al Paese. Neanche a quei paesi che la Rai dovrebbe rappresentare sui propri schermi. E se non lo fa non è perché i suoi lavoratori siano dei culi di pietra, è solo perché gli spazi per le trasmissioni sono sempre stati concessi col contagocce.
A Roma, il governatore del Trentino si dia da fare perché alla sede di Trento siano concessi spazi più ampi. Vedrà che i colleghi (anche quelli venuti da regioni lontane a sostituire i rottamati dall’età) li sapranno riempire con dedizione e merito. Rossi e compagni potranno trovare maggiore soddisfazione e spazio adeguato al loro valore politico. E magari anche qualche critica, perché come altri operatori dell’informazione i tecnici e i giornalisti della Rai hanno il difetto di non essere sul libro paga della Provincia.
Insomma, per dirla con Renato Zero, «viva la Rai».

Alberto Folgheraiter

Già giornalista della Rai di Trento

ischia di passare sotto colpevole silenzio il «suggerimento» del capo del governo di rottamare le sedi regionali della Rai e di vendere, magari al concorrente Berlusconi, Raiway, la società che da qualche anno gestisce gli impianti di trasmissione.
I dipendenti della sede di Bolzano possono dormire sonni abbastanza tranquilli.
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