Il disagio autonomista di Carlo Andreotti

Si può essere oggi trasversali in politica? In altre parole, invece di abbracciare il verbo di un solo partito,  si può guardare alle persone ed alle idee delle quali esse sono portatrici? La risposta è sì, per una montagna di ragioni che non vanno ricercate soltanto nel governo delle larghe intese, simbolo vivente della trasversalità

di Carlo Andreotti

Si può essere oggi trasversali in politica? In altre parole, invece di abbracciare il verbo di un solo partito,  si può guardare alle persone ed alle idee delle quali esse sono portatrici?
La risposta è sì, per una montagna di ragioni che non vanno ricercate soltanto nel governo delle larghe intese, simbolo vivente della trasversalità.  I partiti politici oggi hanno perduto la loro identità, moltiplicandosi nel numero e moltiplicando di conseguenza il numero dei candidati.  Si continua però a ragionare in termini di destra e sinistra, con il centro sballottato di qua e di là, perché pur risultando decisivo, non riesce a darsi una propria organizzazione. Ma dentro la destra, come dentro la sinistra si trova di tutto: moderati e progressisti,  postdemocristiani e postcomunisti, socialisti, liberali e repubblicani, persino autonomisti, radicali e ambientalisti, sindacalisti e imprenditori grandi e piccoli. La perdita di identità, favorita anche dalla caduta delle ideologie, li accomuna tutti. Negli ultimi vent’anni abbiamo avuto nove anni di governo Berlusconi e undici anni di governo di centrosinistra (Dini, Prodi 1, D’Alema, Amato, Prodi 2, Monti e adesso Letta) eppure siamo nelle condizioni in cui siamo.  Inevitabile che in questo bailamme cresca lo sconcerto degli elettori, la disaffezione alla politica e trovino terreno fertile di crescita i movimenti alla Grillo, solo in parte arginati dalle liste civiche.
In questo quadro assai desolante  due forze politiche dovrebbero  e potrebbero distinguersi per la loro diversità: Lega e Partito autonomista. La prima, dopo un drammatico travaglio interno, sta tornando alle origini, ha fatto pulizia interna e sta recuperando credibilità e consensi sostenendo idee in piena coerenza con quelle che in passato le avevano procurato tanti consensi. Il Partito autonomista invece rischia di perdere una grandissima occasione. Le condizioni politiche generali sono le migliori che potesse sperare, il suicidio del PD con la vittoria di Ugo Rossi alle primarie, ha fatto il resto. Eppure proprio nella base del Patt sono in molti a denunciare una perdita di identità, una insofferenza diffusa fra i militanti storici per l’abbandono di posizioni che, nel bene e nel male, hanno fatto la storia del partito. Anche il Patt soffre la generale perdita di identità, ormai omologato ai partiti della coalizione di centrosinistra all’interno della quale è sempre più integrato e docile. Il Patt aveva accresciuto i propri consensi dicendo cose scomode, andando contro corrente, schierandosi sempre dalla parte degli ultimi, dei bisognosi, delle famiglie in difficoltà, dei contadini espropriati e non indennizzati, della sopravvivenza della gente in montagna, nel garantire la sopravvivenza dei punti di riferimento che anche in località marginali, fanno comunque comunità: famiglie cooperative, oratori, scuole elementari, farmacie, uffici postali, ospedali di valle nel segno di una solidarietà diffusa che parte dal proprio territorio prima di rivolgersi al mondo, Cina compresa (pur senza gli eccessi del famoso “volantino verde” della sezione di Trento). E ancora nel sostenere le autonomie comunali e non i comprensori.
Sono in molti gli autonomisti che non si ritrovano più nella nuova filosofia del partito, omologato ormai ai partiti di potere. Molti si sono rivolti a Franco Tretter, uno dei padri dell’autonomismo trentino. L’idea di costituire il VAT,  veri autonomisti trentini, non è stato un colpo di testa isolato del vecchio leader, ma è scaturita dalla richiesta di tanti, troppi militanti delusi. Così è nato il partito “con le Stelle alpine nel cuore”. Ma la diaspora autonomista era purtroppo già in corso con iniziative varie. Singoli autonomisti si erano già impegnati con diverse liste civiche, quella di Diego Mosna compresa (Fausto Valentini), altri hanno trovato spazio nella Lega (Diego Binelli), altri ancora avevano già dato vita a vere e proprie liste civiche, allenandosi alla civica di Mosna. E’ il caso di Marco Omenigrandi Grossman che rinfrescando il rapporto con i liberali austriaci e riferendosi alla tradizione della buona amministrazione asburgica e ai rapporti vitali fra Trentino e Tirolo storico, ha dato vita alla lista autonomista di Nuovo Trentino Nuovo Tirolo, o del giovane, dinamico sindaco autonomista di Vattaro, Devis Tamanini, che raccogliendo attorno a se il malcontento degli autonomisti dell’Alta Valsugana e della Vigolana ha varato la lista “Autonomia 2020”. Una lista che raccogliendo molti consensi autonomisti ha già ottenuto un grande successo alle comunali di Pergine Valsugana, successo che spera di ripetere a livello provinciale. E’ chiaro che meglio sarebbe stato riunire tutti gli autonomisti sotto un’unica grande bandiera, ma questo non è stato possibile per varie ragioni. Il Patt non è riuscito a diventare vero partito di raccolta autonomista, sottovalutando il malcontento di larga parte della base, soprattutto quella di più lunga militanza, gli altri non sono riusciti ad organizzarsi, anche se rimane il loro forte impegno. Di fronte a questa situazione cosa deve fare un autonomista vero? Chiudere gli occhi, tapparsi naso e orecchie e votare Patt a scatola chiusa? Direi proprio di no. Intendiamoci. Sono contento che Ugo Rossi abbia vinto le primarie e sia lui il candidato presidente del centro sinistra, ma se oggi voglio sentir dire “qualcosa di autonomista” devo rivolgermi altrove: alla Lega (a proposito, in tema di finanziaria, per fortuna che Lega e Pdl hanno sottoscritto il patto di Milano a salvaguardia delle finanze della nostra autonomia, altro che l’amico del Trentino, Letta) o alla lista formata dalla cosiddetta bicicletta “Autonomia 2020-Nuovo Trentino Nuovo Tirolo”.
Ecco perché, come tanti, tantissimi autonomisti sono combattuto sull’espressione del mio voto. Come faccio a darlo al “mio partito”, il Patt, che mi tiene costantemente chiusa la porta in faccia e che troppo spesso sembra aver dimenticato la propria gloriosa storia? Eppure sono in molti a chiedermi appoggio, che posso dare, ma a livello individuale.
Ma se devo esprimere una preferenza autonomista di partito non posso non indicare “Autonomia 2020 - Nuovo Trentino Nuovo Tirolo” del’accoppiata Devis Tamanini, Grossmann Omenigrandi. Un loro successo potrebbe rafforzare la raccolta degli autonomisti che non si riconoscono nell’omologazione a sinistra, in un nuovo grande raggruppamento territoriale “autonomista autonomo”. Fermo restando il pieno appoggio a chiunque manifesti idee e impegno autenticamente autonomista. Lega compresa.


Carlo Andreotti

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