L'università deve creare lavoro

Vorrei intervenire con alcune considerazioni generali che in qualche modo riflettono la mia personale esperienza da studente prima (proprio a Povo dove mi sono laureato nel 2005), da ingegnere e lavoratore poi e da dirigente sindacale oggi

di Paolo Cagol

Ho seguito con interesse il recente dibattito sull'Adige sui rapporti tra Università e imprese. Ad intervenire, oltre ad esponenti del mondo industriale e accademico, dal presidente di Confindustria Trento, Mazzalai, (che denuncia i deludenti risultati delle pregresse collaborazioni con l'ateneo) ai professori Gubert e Bassi, rettore dell'università di Trento, (che criticano i tentativi di ingerenza di Provincia e imprenditori), anche l'Assessore all'Industria Olivi, che tenta di orientare in una prospettiva sociale più complessiva il problema, difendendo le finalità del progetto «Polo della Meccatronica» di cui è promotore.


Vorrei quindi intervenire con alcune considerazioni generali che in qualche modo riflettono la mia personale esperienza da studente prima (proprio a Povo dove mi sono laureato nel 2005), da ingegnere e lavoratore poi e da dirigente sindacale oggi. 

 

1) In generale la libertà di orientamento degli atenei non deve certamente essere messa in discussione. Nel merito però va ricordato che la stessa Costituzione che ne sancisce l'obbligo (art.33 Cost.), delega poi la disciplina di tale libertà alle leggi nazionali le quali guardando al modello anglosassone, a partire dalla fine degli anni 90 con la riforma del cosiddetto «vecchio ordinamento» quinquennale l'introduzione dell'attuale modello «3+2» (diploma di base e specializzazione), orientano l'organizzazione degli atenei verso una maggiore opportunità di specializzazione al fine di favorire percorsi didattici più aderenti alle realtà economiche e sociali del territorio. Proprio da questo percorso nascerà in Trentino il dipartimento di meccatronica su cui si baserà poi l'idea e il progetto dell'omonimo polo roveretano.


2) Esistono margini di distinzione tra facoltà di stampo umanistico, che hanno una vocazione più specificamente intellettuale, e facoltà scientifiche, la cui missione considera anche attività di ricerca finalizzata al trasferimento delle conoscenze. Questo vale in particolare per l'ingegneria, la cui disciplina ha come obiettivo proprio l'applicazione dei risultati delle scienze di base alla risoluzione di problematiche che concorrono alla soddisfazione dei bisogni umani mentre la ricerca di nuove conoscenze viene affidato alla matematica, fisica, chimica, biologia ecc.


3) Nell'ambito della ricerca scientifica si distinguono comunemente tre diversi orientamenti: quello della ricerca di base, che sviluppa le conoscenze dei fenomeni; quello della ricerca applicata, che individua le soluzioni applicative e quello dello sviluppo precompetitivo, che riguarda la progettazione di prodotti innovativi. Quest'ultimo, distinto ma non in conflitto con gli altri essendone la coerente evoluzione, rappresenta evidentemente il più favorevole anello di giunzione tra mondo universitario e produttivo in quanto permette di valorizzare l'attività accademica, anche sotto il profilo economico, e di dare concretezza al processo di trasferimento delle conoscenze di cui si diceva prima.


4) In merito poi ai rapporti tra istruzione e società, ritengo che l'università abbia, oltre ai compiti già detti, anche quello non secondario di accrescere le opportunità di affermazione sociale e professionale dei propri studenti, e questa credo sia anche l'aspettativa di molte famiglie le quali, non di rado con sacrificio, investono decine di migliaia di euro per consentire ai propri figli di laurearsi. Diventa quindi fattore non completamente trascurabile, quantomeno dal punto di vista sociale, la capacità degli atenei di generare profili di conoscenze e capacità compatibili con le esigenze e le richieste del mercato del lavoro. Ciò detto, ritengo sia riduttivo porre la questione sul piano di una scelta tra università libera o in mano a imprese o Provincia. Si deve invece ricercare all'interno del problema la sua dimensione di opportunità. Opportunità che può nascere da una sana e virtuosa «contaminazione» tra queste realtà, che sappia mediare difetti e valorizzare virtù delle rispettive tradizioni e culture, che sono certamente di grande valore. In quest'ottica Università e imprese devono abbandonare atteggiamenti di pregiudizio e autoreferenzialismo, mentre Provincia e enti delegati devono dimostrare di saper proporre una visione organica di sviluppo a medio-lungo termine che affronti in modo complessivo e trasversale i molteplici aspetti correlati. In quest'ottica si deve cercare, attraverso un confronto tra le realtà coinvolte (Università, associazioni imprenditoriali e anche Sindacato), di individuare degli obiettivi condivisi su cui concentrare interventi e investimenti.


Solo da una lucida e comune idea di futuro possono nascere le condizioni favorevoli per vincere le naturali resistenze al cambiamento da parte di soggetti che, evidentemente, sono portatori di differenti prerogative e interessi.


Paolo Cagol
Laureato in Ingegneria a Povo, ingegnere e dirigente sindacale

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