Il Papa in Romania cerca riconciliazione

Il Papa in Romania cerca riconciliazione

di Luigi Sandri

Sarà il futuro a dire se il viaggio di Francesco in Romania, nel week-end, ha superato le tensioni, originate dalla storia, tra i cristiani ortodossi - l’80% dei venti milioni di abitanti del paese - e i greco-cattolici che, nati tre secoli fa in un particolare contesto geopolitico, nel dopoguerra furono perseguitati dai comunisti.
Tra i perseguitati, anche sette vescovi che ieri il papa ha beatificato. Il più noto di essi è Iuliu Hossu, che nel 1969 Paolo VI aveva creato cardinale “in pectore” (in segreto) e che morì l’anno dopo senza mai essere andato a Roma a ricevere la porpora: temeva che non lo facessero rientrare.

Complicata la questione dei greco-cattolici, chiamati “uniati” dagli ortodossi. Nel 1687 Leopoldo I d’Asburgo cacciò i turchi dalla Transilvania (la parte settentrionale dell’attuale Romania, prima legata all’Ungheria). Su pressioni di Vienna, nel 1700 il metropolita ortodosso della Regione decise di riconoscere il papato.

E trascinò con sé gran parte della popolazione. Ma quattro decenni dopo circa la metà dei “convertiti” ripudiò quella “unia” (unione).
Roma comunque riorganizzò gli “uniati”, facendoli prima dipendere dal primate ungherese di Esztergom e poi creando per loro la metropolia di Fogaras-Alba Iulia, dalla quale dipendevano altre diocesi greco-cattoliche. Queste hanno fino ad oggi mantenuto la liturgia bizantina in lingua romena - come la Chiesa-madre da cui provengono - ed hanno una loro disciplina che prevede, tra l’altro, il clero uxorato. A Sibiu ho conosciuto un parroco greco-cattolico che ha famiglia, molto amato dalla gente.

Nel 1948, quando ormai la Romania era finita nell’orbita sovietica, uno pseudo-sinodo greco-cattolico dichiarò nulla la ’’unia” del 1700: tutti i beni di quella comunità finirono allo Stato, o da esso furono passati alla Chiesa ortodossa. I vescovi che si opposero a questa violenza furono incarcerati, posti in libertà vigilata, o impediti di agire. Dopo che, nel 1989, crollò il regime di Nicolae Ceausescu, anche gli “uniati” furono riabilitati.

Tuttavia, malgrado le promesse, quando nel 1999 Giovanni Paolo II visitò il paese, molti beni (chiese, canoniche) dei greco-cattolici erano ancora in mano ortodossa; e, ancor oggi, una parte, finita in mano al patriarcato romeno, non è stata restituita.

Il problema è stato toccato nei colloqui tra Francesco e Daniel, patriarca della Romania, ma ignoriamo con quali risultati. Il papa e, in generale, il Vaticano, in questi anni, hanno invitato i greco-cattolici (che hanno rapporti di buon vicinato con i fedeli latini: insieme sono un milione e mezzo) ad avere “pazienza”. Da parte sua, il pontefice, nei discorsi di questi giorni, ha spronato tutti a «rinsaldare le comuni radici della nostra identità cristiana».

E, prima di ripartire per Roma, ha incontrato trecento rom in rappresentanza dei molti che vivono in Romania, ammettendo con franchezza: «Anche i cattolici, lungo la storia, vi hanno discriminati».

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