Il Papa in Bulgaria, paese dei sospetti

Il Papa in Bulgaria, paese dei sospetti

di Luigi Sandri

Il cordiale tentativo di rafforzare i ponti del dialogo con la Chiesa ortodossa - la religione prevalente nel paese, oggi abbastanza rigida - ha caratterizzato ieri la prima giornata del papa in Bulgaria, dove Giovanni Paolo II qui negò ogni coinvolgimento di Sofia nell’attentato contro di lui.

Incontrando il patriarca Neofit, insieme al suo Sinodo, Francesco ha ricordato che Angelo Giuseppe Roncalli - il quale, divenuto poi Giovanni XXIII, nel 1962 aprirà il Concilio Vaticano II - dal 1924 al ’34 fu visitatore apostolico in Bulgaria, dove cercò di avere rapporti amichevoli con l’Ortodossia.
Sottolineando poi che, sotto un “regime autoritario” (quello comunista che dominò il Paese dal dopoguerra al 1990), i cristiani impararono l’”ecumenismo del sangue”, il pontefice si è augurato che possano migliorare i rapporti tra la Chiesa ortodossa bulgara, la Santa Sede e la piccola minoranza cattolica (meno dell’uno per cento della popolazione).

Che, malgrado la cordialità ufficiale, Bergoglio in Bulgaria (qui invitato dal presidente, e non - formalmente - da Neofit) abbia trovato una certa distanza lo dimostra un dettaglio: pochissime sono le bandiere bianco-gialle vaticane lungo le strade percorse del corteo papale. Chiedo ad un taxista il perché di questa freddezza: «Non so - mi risponde - io sono ortodosso, e mi fa piacere che il papa sia qui. Ma sa, il potere ha le sue ragioni, per noi incomprensibili».
Un imponente schieramento di polizia ha controllato chi in qualsiasi punto voleva accostarsi alle transenne per vedere più da vicino il pontefice che passava. In Bulgaria non ci si dimentica che le autorità del Paese furono accusate di essere implicate nell’attentato a Karol Wojtyla, il 13 maggio 1981.

Quel giorno il terrorista turco Ali Agca sparò al papa in piazza san Pietro, e per poco non lo uccise. Si seppe poi che egli, legato ai «Lupi grigi», estremisti di estrema destra, era stato incarcerato nel suo paese, accusato di omicidio; ma, là, era riuscito a fuggire dalla prigione, ed era riparato a Sofia. Da qui arrivò a Roma.
Processato per tentato assassinio, Agca accusò i servizi segreti bulgari di averlo aiutato nella “impresa”. Da più parti si pensò che quelli, con la Stasi (servizi della Germania-est), per ordine del Kgb, i servizi segreti sovietici, avessero protetto il terrorista turco. Accuse mai provate; e così la “pista bulgara” rimase una semplice ipotesi.
Quando Giovanni Paolo II, nel maggio del 2002, visitò Sofia, il portavoce vaticano, Joaquín Navarro Valls, affermò: «Il papa ha detto al presidente bulgaro Georgi Parvanov di non avere mai creduto nella “pista bulgara”».

Chi armò, dunque, Agca? Francesco - che domani visita Skopje, nella Macedonia del Nord (là nacque quella che diventerà madre Teresa di Calcutta!), e in serata tornerà a Roma - non ha fatto nessun cenno a quella vicenda. Ma, di sicuro, in Vaticano sanno. E, forse tra un secolo, riveleranno quale Potenza nel 1981 aveva deciso di far assassinare il papa polacco.

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