I ragazzi «bene» che si nutrono di violenza

I ragazzi «bene» che si nutrono di violenza

di Sandra Tafner

Quei ragazzi di un liceo bene di Milano che durante una festa di compleanno hanno preso di mira un ospite ventenne, l’hanno accerchiato e colpito con pugni, calci e sputi senza alcun motivo, non hanno nemmeno la giustificazione di essere figli della strada, abbandonati da Dio e dagli uomini, ridotti alla miseria, senza lavoro, famiglie disastrate alle spalle.

Quei ragazzi sono figli di una buona borghesia, probabilmente annoiati e in cerca di emozioni forti. Nessun motivo per essere arrabbiati col mondo. In quindici ne hanno pestato uno a caso, che vedevano per la prima volta, e poi se ne sono andati. Non c’entra dunque il disagio sociale e nemmeno la mancanza di una cultura scolastica.

La spiegazione dello psicoterapeuta non fa che confermare quello che ormai si è indotti a pensare ogni volta che succedono queste cose: è un disagio generazionale e nemmeno si può dire che gli unici responsabili siano gli insegnanti e i genitori, anche altri soggetti infatti dovrebbero avere compiti educativi. Pensiamo a quanti esempi arrivano dalla società e dai social network e da chi riveste ruoli autorevoli. Ruoli, ma non sempre autorevolezza. Tutt’intorno i giovani respirano contrasti, rabbia, indifferenza per il prossimo, desiderio di sopraffazione.

L’episodio si è verificato lo stesso giorno in cui a Trento un gruppo di ragazzini - non un singolo perché, si sa, è la banda che dà forza - ha preso a calci, pugni e sputi - attacco in fotocopia - l’edicolante di piazza Fiera che stava chiudendo per la pausa pranzo e quindi si era rifiutato di consegnare, peraltro gratis - come da richiesta - una bibita in lattina. Di lì la punizione e anche la minaccia di tornare al pomeriggio per lavare l’onta di un diritto negato.

Vale lo stesso commento del caso precedente? Sì, può valere, le circostanze sono simili e probabilmente anche l’estrazione del gruppo. Ma resta sempre da trovare la risposta alla domanda iniziale: perché succedono queste cose? C’è sicuramente un errore all’origine, ci devono essere tanti errori che hanno preparato il terreno di coltura.

Ammesso il disagio generazionale, resta sempre la domanda: perché? I giovani hanno sempre avuto problemi, crisi, qualche sciocchezza l’hanno sempre fatta, ma avevano anche gli anticorpi per venirne fuori. Qualcuno dunque non sta facendo il proprio dovere, non ha fornito i mezzi per attivare quegli anticorpi prima che le bravate cominciassero a degenerare diventando atti ben più pesanti e pericolosi per sé e per gli altri.

Ed è molto qualunquista dire siamo tutti colpevoli, come è molto qualunquista dire che tutti i giovani d’oggi sono uguali. Non è vero, ce ne sono di bravissimi e per fortuna neanche pochi. Allora si potrebbe cominciare con un discorso da vecchi: ormai c’è in giro troppa superficialità, non esistono regole, si scambia la libertà personale per il poter fare qualunque cosa anche a danno degli altri. Da qui al credere che tutto sia lecito il passo è breve.

La politica, ad esempio, è maestra nell’insegnare che tutto ciò che sa di passato è da buttare. Lo va ripetendo ogni giorno, inutile giudicare quel che succede ora con i parametri d’una volta, il metro adesso è tutto diverso, bisogna guardare con un’ottica nuova, per forza non si comprendono bene gli eventi attuali. Chi è rimasto indietro è destinato a perdere la coda del gruppo vincente. Così anche nel quotidiano, nel lavoro, nelle amicizie, nel tempo libero.

A scuola e in famiglia. Ci vuole un’alternativa, ovviamente. C’è già l’alternativa? Chi la propone? Funziona? E’ migliore dei princìpi fondamentali che valevano prima? Dai risultati sembra di poter nutrire qualche serio dubbio.

Il 9 febbraio di cinquant’anni fa moriva Ernesto Rossi, esponente del Partito d’Azione, che mandato al confino a Ventotene contribuì con altri a scrivere il famoso «Manifesto», nel quale tra l’altro si auspicava il rinnovamento sociale e l’eliminazione delle diseguaglianze. Indispensabile per questo, come recita l’art. 54 della Costituzione, «che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche le adempiano con disciplina ed onore».

Ed è addirittura sottinteso che le debbano adempiere con onestà e rigore, l’opposto cioè della superficialità, della mancanza di regole, della libertà personale anche a scapito degli altri. Il 9 febbraio i politici lo ricorderanno. E alla gente diranno che sono virtù da non dimenticare. Appunto.

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