Festa della mamma senza la mamma

Festa della mamma senza la mamma

di Federico Uez

«Vestiti bene Fede, mi raccomando. È la festa della mamma, è importante».

Così, domenica 28 maggio mattina, dalle 9 siamo tutti qui a Kay Chal, pronti a preparare la festa della madre,  una giornata importantissima e molto sentita qui ad Haiti. Gli animatori del centro, tutti quanti volontari, suor Luisa, io e la mia collega servizio civilista, Silvia.

Da ormai un mese stiamo lavorando assieme per questo evento speciale: J sta preparando con un gruppo di ragazzi e ragazze una danza da presentare alle mamme; H invece, col suo gruppo, ha arrangiato sia uno spettacolo di ballo che di canto; V, un giovane maestro, porterà una canzone fatta con i bambini che frequentano la scuola mattutina di Kay Chal per «restavek»,ragazzini/e dagli 8 ai 15 anni che vivono in famiglie affidatarie, svolgendo per loro lavori domestici; tutti gli animatori assieme, coordinati da un insegnante di teatro locale, anche lui volontario, hanno passato tutta la scorsa settimana a fare prove per  rendere omaggio a tutte le madri. Alcune animatrici di origami hanno preparato coi bambini una spilla con fiore da attaccare al petto di ogni mamma invitata.

La mattinata passa veloce, montando il palco, fatto legando con cura delle panche in legno, coperte da un telo in plastica, arrangiando le decorazioni, palloncini e cartelloni, facendo una grossa pulizia di tutti gli spazi. L’impegno di tutti è notevole.

Sono felice di far parte di tutto ciò e di avere il privilegio di poter condividerlo con questo popolo, che solitamente vive un forte pregiudizio nei confronti del «blan», che in realtà in creolo significa straniero: il «blan» schiavista, una pagina della storia che la gente non dimentica e segna tuttora la vita degli haitiani, approfondita e studiata continuamente sin da quando si è piccoli a scuola; il «blan» che dal 2010, dopo il terremoto, è giunto in massa nel paese per portare aiuti, sbattendo inevitabilmente in faccia a questa popolazione gli squilibri di questo mondo, talvolta dando anche l’impressione a molti haitiani di esser venuto solo per ragioni economiche e di guadagno; il «blan» che tuttora, dall’estero, influenza la vita, il mercato, l’autonomia di Haiti.

Ecco, a Kay Chal non percepisco tutto ciò: siamo noi, persone semplicemente, che grazie al contatto quotidiano e alla relazione, hanno superato le differenze e i pregiudizi.

La relazione. La relazione è la chiave di tutto: prendersi il tempo per conoscere, togliersi lo sfizio di ascoltare e guardare negli occhi l’essere umano; avere la cura di non prestare ascolto ai sentito dire o alle parole di altri. Mettere le mani in pasta. Credo questo sia importante tanto ad Haiti quanto in ogni singolo posto, dal’Europa al nostro trentino.

«Cammina adagio, vieni»: R accompagna al centro un’anziana mamma a braccetto, con cura e attenzione. È conosciuta da tutti qua, un’istituzione. Anni fa infatti lei lavorava per il centro ed era un riferimento per tutti; purtroppo è stata colpita da un ictus e dopo 2 anni di cure all’estero ora è tornata e riesce a muoversi lentamente e parlare.  

Da quando 2 mesi fa è ritornata qui, a Citè Jeremy, una bidonville nel cuore di Haiti,  era uscita solo una volta di casa, situata all’interno di alcuni strettissimi vicoli.

Ma alla festa della mamma non poteva mancare, così tutti si sono attivati per farla venire qui a Kay Chal.

Intanto, mentre la giornata trascorre benissimo, con una certosina organizzazione di tutti i volontari, ripenso a giovedì mattina, mentre a scuola invitavamo i bambini «restavek» alla festa.
 
«Fede, io non ho la mamma, posso venire comunque?».
«Certo, M., Silvia vi rappresenterà».

Dolcezza. La dolcezza di M che il giorno dopo, sul foglietto d’autorizzazione per la festa, dove doveva scrivere il nome della madre, aveva scritto un altro nome, «Silvia».

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