A pedali nella terra degli Inca

A pedali nella terra degli Inca

di Leo & Vero

I sogni di un ragazzo che si nutrivano di strepitose immagini ammirate su riviste mitiche come il National Geographic si sono trasformati in esperienza trascendente. Tremila chilometri di fatica, sudore, conquista.
Tremila chilometri di emozione, gioia, appagamento.

Le Ande, una lingua di terra e fuoco a volte dolce ed accogliente, altre aspra e inospitale sono divenute realtà toccata con mano e tutt’oggi quelle immagini scorrono davanti agli occhi di un uomo tornato ragazzo per qualche settimana in sella alla sua bici.

La terra degli Inca, quel lembo tra Perù e Bolivia che ha ospitato una civiltà fiera e organizzata, ci ha accolto senza indugi, senza chiedere nulla in cambio. Cinquecento anni prima, lo stesso atteggiamento di fiducia nel prossimo aveva portato l’imperatore Atahuallpa a capitolare davanti a poche decine di conquistadores spagnoli.

Le mire di conquista che ci hanno accompagnato avevano scopi decisamente diversi: i nostri obiettivi erano le Ande, i passi oltre i 4000 m, i paesaggi allucinanti dei deserti di sale boliviani, le rovine Inca, la conoscenza di una cultura affascinante.
La bici, fida compagna, ci ha accompagnato in un saliscendi catartico che ha preso inizio da Nasca, nel mezzo di un deserto reso famoso da enormi disegni misteriosi.

Il caldo soffocante ci ha spinto verso le alte quote della Pampa Galera dove un gruppo di condor ci ha scortato attraverso il primo e unico diluvio di una stagione delle piogge che ci ha risparmiato inseguendoci a distanza nel nostro viaggio da nord a sud. Paesi sconosciuti, città anonime e tristi si susseguivano alternandosi a paesaggi da favola costellati di un sempre crescente numero di piante man mano che ci addentravamo nella Cordillera.

Choquequirao e Ollantaytambo: la valle Sacra si riconosce subito, verde, rigogliosa, ricca. Non stupisce che gli Inca abbiano fondato il loro impero partendo da questo angolo di paradiso in terra. Raggiungere Macchu Pichu senza il (costosissimo) treno è tutt’oggi un’avventura degna di Hiram Bingham.

Sopravviviamo e Cusco diventa per noi una base per riposare un po’ prima di affrontare il grande passo: l’Altiplano, il lago Titicaca e poi la desolata pampa della Bolivia occidentale.
Solitudine, sconfinati orizzonti, gente dai lineamenti scavati dal vento, dalla sabbia e dalla siccità.

La scorza è dura, come il territorio in cui abitano, come la corteccia dei saguaro che ricoprono l’isla Incahuasi. Scavando un po’ però si scoprono cuori grandi e generosi, disponibilità sconfinata all’accoglienza, curiosità dettata anche e soprattutto dall’isolamento e dalla miseria. La bici, il carico, la pelle sferzata da vento, sole e freddo ci aiutano e creano empatia. Ovunque è un prodigarsi per salutare e dare una mano come si può: una bottiglietta d’acqua o un biscotto hanno un sapore ed un valore diverso nel deserto andino!

Attraversiamo i salar, Coipasa ed Uyuni, appena prima del passaggio della Dakar... l’isteria e la frenesia dei preparativi ci convince a proseguire e dopo qualche giorno torniamo ad immergerci nella sabbia, accerchiati da vulcani dai mille colori. Il Cile è lì, a due passi, oltre l’orizzonte. La strada delle lagune è tanto dura quanto incantevole... spingiamo la bici per chilometri e chilometri e dopo una notte in tenda a 5000 m precipitiamo nelle fauci di San Pedro de Atacama, un’oasi nel deserto dal nome mitico e denso di promesse. Peccato che sia stata trasformata in un frullatore per turisti.

Il tempo di riprendere fiato e fuggiamo lontani, attraversando il mito, quello vero: il deserto. Si torna con il naso all’insù e tra il Cile e l’Argentina ci aspetta ancora tanta polvere, i 4000 m del paso Sico e la neve in quota, prima di essere accolti nella tropicale città di Salta.
I sogni di un ragazzo sono divenuti reali... ed in fin dei conti, come spesso accade, la realtà supera di gran lunga la fantasia!

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