Blog / Storia

La storia perversa di Celeste Di Porto, la spia che vendeva gli ebrei ai nazisti

Chiamata “Pantera Nera” oppure “Stella di Piazza Giudia” per la sua bellezza e spietatezza, sfuggita al linciaggio dei superstiti del Ghetto di Roma, arrestata, condannata, liberata dall’amnistia, si rifugiò anche a Trento quando il Mossad era sulle sue tracce

di Luigi Sardi

TRENTO. Ricompaiono, come negli anni bui della Germania nazista, le stelle di David. Ad indicare dove abitano e lavorano gli ebrei. Erano comparse anche in Italia, nel 1938 l’anno delle sciagurate leggi razziali, mentre su qualche negozio - uno molto fotografato era a Cortina d’Ampezzo, località prediletta da Edda, la primogenita del Duce e moglie del Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano - c’era la scritta “Questo locale è ariano”.

Ecco la nostra memoria perduta, oppure corta, che non ricorda quello che avvenne 80 anni fa quando nel Regno - o meglio, sulla carta era ancora Impero - i nazisti, qualche fascista e diverse spie ben pagate scatenarono la caccia agli ebrei. Ora sono ricordati in “pietre d’inciampo”, due sfregiate a Roma alla fine dell’ottobre 2023. Questi simboli ideati dall’artista tedesco Gunter Demnig, sono destinati a suscitare il ricordo dei cittadini deportati nei campi di sterminio; le due imbrattate a Roma sono dedicate alla memoria di Eugenio e Giacomo Spizzichino, giovani ebrei deportati nei Lager di Mauthausen e Auschwitz e li uccisi.

Racconta Marco: “Mio fratello [Michele] era con me sul tram. Era sceso a Ponte Sisto e poi so che aveva attraversato ponte Garibaldi. Davanti al cinema Reale ebbe la sfortuna di incappare in lei, la spia, che lo indicò ai nazisti”. Appunto “lei, la spia”, era Celeste Di Porto, ebrea, che vendeva i correligionari incassando le cinquemila lire consegnate a chi permetteva la cattura di un maschio, mentre tremila lire era il prezzo per la cattura di una donna e mille per un bambino.

Dopo la guerra, per sfuggire al Mossad che la cercava per portarla a Tel Aviv e processarla - si rifugiò a Trento al numero 2 di piazza Cappuccini, fra le focolarine di Silvia, Chiara, Lubich. Strana e davvero perversa la storia di Celeste chiamata “Pantera Nera” oppure “Stella di Piazza Giudia” per la sua bellezza e spietatezza. Fuggita al linciaggio dei superstiti del Ghetto di Roma, arrestata, condannata, liberata dall’amnistia firmata dal Guardasigilli Palmiro Togliatti, nascosta ad Assisi in un convento di suore, battezzata, cresimata in una solenne cerimonia fotograficamente pubblicizzata dalla inglese “Reuters” e addirittura da cinque puntate del settimanale “Tempo”, il 2 aprile del 1948 venne portata con un taxi a Trento per decisione del vescovo di Assisi Giuseppe Placido Nicolini nato a Villazzano, che nei giorni più tragici della guerra nascose e salvò molti ebrei dalla deportazione. Il trasferimento urgente venne deciso perché la neo convertita aveva cominciato ad infastidire le Colettine, suore di clausura, clarisse di rigidissima osservanza.

Con lei c’era Elena Hoehn, funzionaria, forse ufficiale della Gestapo. Aveva fatto arrestare tre uomini dei Carabinieri Reali entrati nella Resistenza: il colonnello Giovanni Frignani, il maggiore Ugo De Carolis e il capitano Raffaele Aversa assassinati alle Fosse Ardeatine. Frignani, Medaglia d’Oro al Valor militare, fu l’ufficiale che per ordine del re Vittorie Emanuele III arrestò Benito Mussolini. “Peccato e redenzione” scrisse come titolo il settimanale “Tempo” quando pubblicò la storia di Celeste i Porto e della tedesca Hoehn. A Trento la Celeste rimase per poco. Gino Lubich, fratello di Chiara, vicino agli ambienti di Salute Pubblica, prega caldamente la sorella di “domare” la nuova cristiana. Che, finalmente, sparisce mentre il Mossad continua a cercarla. Un giornalista scopre a Genova la sua nuova dimora, ma decide di fermarsi sull’uscio della casa dove Celeste che ha cambiato identità, vive. Non se la sentì di incontrare quella donna bollata da un’accusa così tremenda.

Certo, molti italiani rischiarono la vita per nascondere gli ebrei mentre altri, come il questore di Roma Pietro Caruso, poi fucilato quando la Capitale venne liberata, guidò un’irruzione con i militi della Repubblica di Salò, addirittura nella Basilica di San Paolo per scovare ebrei e patrioti che si erano rifugiati nella casa di Dio. Era mercoledì 25 agosto 2010, di pomeriggio, a Villazzano quando Renzo Merler presentava “Piero Terracina sopravvissuto ad Auschwitz”. Il superstite della Shoah, guardò il pubblico assiepato in sala e disse: “Vi racconto l’inferno” e scoprendo l’avambraccio sinistro mostrò il tatuaggio, quel numero inciso e inchiostrato sulla pelle che riduceva una persona ad un oggetto. La folla, perché davvero di folla si trattava, ammutolì e Terracina cominciò a raccontare: “Si vedeva di giorno e di notte il fumo dei camini. A volte era scuro, quasi nero e saliva fino a confondersi con le nubi. Altre volte, soprattutto in primavera, era chiaro e subito portato via dal vento. C’erano, a tratti, fasci di scintille e appena diventava buio, saettava il fiammeggiare dei forni che venivano aperti” per essere riempiti di polvere di carbone e cadaveri. “Ogni giorno ad Auschwitz venivano uccisi uomini, donne, bambini, i corpi bruciati, quasi mille al giorno e i resti dispersi in buche comuni. Morirono circa un milione e mezzo di ebrei, un milione di prigionieri politici soprattutto polacchi, oltre agli zingari, omosessuali, testimoni di Geova e soldati russi presi prigionieri”.

Ho già scritto questa testimonianza nel trapassato remoto, ed ero certo di pubblicare una memoria antica, insomma una pagina di storia. Ma oggi quanti marciano per le vie delle italiche città che da ottant’anni (80 anni) non hanno più subito bombardamenti aerei scandendo “intifada fino alla vittoria” sventolando stendardi cari ad Hamas e consimili che se, malauguratamente, dovessero dominarci, ci ridurrebbero in schiavitù. A cominciare dalle donne che in Iran vengono picchiate a morte se scoperte senza il velo sulla testa. Pensate cosa succederebbe se in Italia arrivasse una “polizia morale”. Walter Veltroni giornalista, già direttore de “l’Unità” lo storico quotidiano del Pci, scrittore di talento, uomo di vasta cultura, già sindaco di Roma e Ministro nel Gabinetto Prodi, scrive di essere stato con Terracina “in Germania a parlare ai ragazzi delle Università. Non ha mai usato davanti a loro, parlando di suoi aguzzini, la parola tedeschi. Li chiamava nazisti, distinguendo un popolo dalle ideologia di morte che pur avevano accettato e sostenuto”. Continua Veltroni in un articolo pubblicato dal “Corriere della Sera”: “Terracina era l’incarnazione del pensiero di Esther Hillesum, detta Etty” che è stata una scrittrice olandese ebrea, uccisa nella strage nazista. Lei esternò: “Ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in sé, ciò che può ritenere di distruggere negli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo, lo rende ancor più inospitale”.

Nell’articolo, Veltroni ricostruiva la mattina del 16 ottobre 1943 quando le SS di Herbert Kappler con la complicità dei fascisti di Roma entrarono armi alla mano nel ghetto e portarono via tutti: uomini, donne, anziani, malati e bambini anche quelli in culla. Erano 1022 persone tutti italiani, quasi tutti romani. Soltanto 16 tornarono. Gli altri vennero trasformati in fumo e “ora sono nel vento”. E lo saranno per sempre mentre masse, anche di italiani, gridano nelle strade nostre contro gli ebrei. E il termine “pogrom” torna nei titoli dei giornali e qualcuno a Tel Aviv parla di bomba atomica da gettare sulla striscia di Gaza mentre fra i sostenitori di Hamas c’ è chi grida agli ebrei: “berremo il vostro sangue”.

Veltroni voleva narrare la razzia organizzata da Kappler, quel Satana un po’ minore rispetto agli altri camerati assassini, ma dannatamente, si è trovato a dover parlare dell’oggi: “Quante cose da imparare in questi giorni orrendi. L’orrore dell’antisemitismo, l’incapacità politica e morale di distinguere le popolazioni civili dai produttori di morte, la necessità di usare la politica” e qui verrebbe voglia di aggiungere l’intelligenza, che pare di sovente scarsa, nella politica, “e non solo le armi, per affermare la convivenza tra persone diverse per colore di pelle, per religione, per idea”. Veltroni canta la bellezza della pace, della libertà, della pluralità delle idee. Questi concetti si dovrebbero insegnare nelle scuole assieme al rispetto per la donna, alla condanna definitiva dei produttori di armi, quei “mercanti di cannoni” che hanno sempre dominato il mondo. Tutto questo è mancato, sostituito dalle grida, dai pianti in quell’alba dell’ottobre del 1943 nella Roma che il Duce aveva voluto imperiale e che il popolo italiano, quasi tutto, aveva applaudito in maniera forsennata. Come si vede nei filmati di quei giorni con maree di popolo in camicia nera a cantare l’Inno dell’Impero, quel “Sole che sorgi libero e giocondo - sul Colle nostro i tuoi cavalli doma - tu non vedrai nessuna cosa al mondo - maggior di Roma”.

comments powered by Disqus