Covid / L’editoriale

Ha vinto l’Italia dei tanti silenziosi

L'Italia del condono facile e della sanatoria dell'ultimo minuto - il Paese che di solito accarezza i furbi trovando puntualmente un sistema per far loro almeno uno sconto - per una volta non s'è piegata al vento della protesta dei pochi

TRENTO. Ha tenuto duro. Incredibile ma vero. L'Italia del condono facile e della sanatoria dell'ultimo minuto - il Paese che di solito accarezza i furbi trovando puntualmente un sistema per far loro almeno uno sconto - per una volta non s'è piegata al vento della protesta dei pochi. Ha scelto invece i molti. Alla violenza cieca e immotivata ha preferito la forza tranquilla. E ha fatto sentire fieramente italiani i buoni e non quelli che, scioccamente, tendiamo un po' tutti a chiamare furbetti anziché disonesti, facendo così sentire fesso chi si comporta bene, chi le tasse le paga, chi non sa cosa siano gli abusi, chi non passa col rosso, chi non parcheggia in doppia fila, chi non salta la coda…

Il merito è soprattutto di Draghi, il presidente del consiglio che non ha bisogno di assecondare tutti pur di strappare un voticino per sé o una poltroncina per qualche amico. Potere dei tecnici: i loro governi di solito non durano molto, ma possono realizzare le cose, fare scelte necessarie e non rinviabili anche se dolorose o comunque impopolari. Draghi ha una fortuna che altri prima di lui non hanno avuto: i miliardi che arrivano dall'Europa per far ripartire un'Italia di cui il Covid ha esaltato, se possibile, vecchie e nuove fragilità. Ma la sua linea (no ai rinvii, no ai tamponi gratis o scontati) è netta. È ferma. Fin troppo facile immaginare cosa avrebbero fatto in questi giorni, al suo posto, molti dei suoi predecessori: avrebbero guadagnato mesi rinviando scadenze. Avrebbero cominciato col regalare i tamponi, immaginando poi slalom e scappatoie per non arrivare mai al traguardo.

Qualcuno - a palazzo - ci ha provato comunque. Strizzando l'occhio alle piazze della protesta e quasi assecondando violenze che ci riportano indietro di anni e che nulla hanno a che fare con un dissenso democratico che è sempre legittimo per definizione. Il capo del nostro governo ha invece evitato con cura la via della debolezza e ha scelto di non porgere l'altra guancia a quelle che sono e che restano delle minoranze. Chi ha paura del vaccino va infatti sempre ascoltato, ma non necessariamente assecondato. Perché rispettare i dubbiosi non significa arretrare di fronte ai violenti o al cospetto di chi, fin dall'inizio, ha speculato sulla paura, ha strumentalizzato l'indecisione.

Tutti temevano il 15 ottobre. Il rumore - amplificato - di chi voleva bloccare tutto ha infatti indotto più d'uno a pensare (alcuni persino a sperare, i più a temere) che l'Italia scivolasse inesorabilmente nel tritacarne di scioperi, sit-in, picchetti, manifestazioni.La sfida è stata lanciata: non mi vaccino e così ti batto a braccio di ferro. Ma ha vinto l'Italia che ha deciso di fare da apripista anche rispetto ad altri Stati. Hanno vinto quei milioni di italiani che hanno messo l'interesse collettivo davanti al proprio. Il motore del Paese è stato alimentato dalla forza silenziosa e pacata dei diligenti. Potere invisibile ma enorme di chi ha ancora fiducia. Nel governo, nella scienza, nel prossimo.

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