Lo spreco di cibo da combattere

Lo spreco di cibo da combattere

di Andrea Segre

Le festività natalizie sono un buon momento per fermarsi a riflettere sul nostro mondo di relazioni e di consumo. Senza sensi di colpa ma con lucidità e guardando avanti. Siamo esattamente a cavallo tra il 2016 e il 2017: condizione ottimale per tirare qualche somma tra ciò che è stato e ciò che sarà o vorremmo fosse. Ho dedicato buona parte della mia vita di ricercatore a capire come recuperare e prevenire gli sprechi alimentari. E ogni giorno che passa rafforzo la mia convinzione che lo spreco di cibo e altre risorse naturali (comprese quelle umane) dipenda soprattutto da noi. Dobbiamo ripensare i nostri modelli di produzione e consumo, rivedere gli stili di vita, in un'ottica di economia circolare con al centro l'uomo, la natura e le relazioni tra di essi. Lo spreco non deve trovare più spazi, tanto più intollerabili in un mondo che sta vivendo una crisi economica, ambientale e sociale pesantissima.

Una riflessione di questo tipo parte da dati verificati. A livello mondiale circa un terzo della produzione di cibo destinata al consumo umano si perde o si spreca lungo la filiera alimentare, per un valore di oltre mille miliardi di dollari l'anno. In Italia l'Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market e il progetto Reduce coordinato dall'Università di Bologna hanno stimato che lo spreco vale poco meno di 16 miliardi: quello domestico equivale all'1% del PIL, 600 grammi alla settimana di cibo buttato, pari a un costo per famiglia di 30 euro al mese.

L'anno che sta finendo ha segnato un punto importante nel contrasto allo spreco alimentare nel nostro Paese con l'approvazione di una legge che interviene in materia incentivando il recupero a fini caritativi sia di prodotti alimentari sia farmaceutici. Il percorso legislativo ha affondato le sue radici nel coinvolgimento di un'ampia platea di portatori di interesse, un metodo partecipato che spero potrà essere applicato anche ad altri temi di interesse nazionale.
In estrema sintesi le principali novità apportate dalla legge riguardano la semplificazione delle procedure burocratiche necessarie per la donazione, l'ampliamento della platea dei soggetti potenzialmente beneficiari, alcuni chiarimenti sulle specifiche dei prodotti da donare e la valorizzazione di alimenti oggetto di confisca.

Certamente si tratta di un passo avanti necessario per limitare lo spreco, ma che ancora non basta per risolvere radicalmente il problema. Nel dispositivo di legge, infatti, mancano strumenti efficaci per quantificare ciò che viene perso lungo la filiera, dal campo alla forchetta, ma soprattutto dei target nazionali da raggiungere. Senza un obiettivo chiaro verso il quale muoversi è difficile perfino partire. Inoltre è assai modesta l'integrazione tra pianificazione nazionale, regionale e locale, senza contare che le potenzialità delle legge sono smorzate dalle esigue risorse stanziate. Al di là di questi limiti, credo tuttavia che l'aspetto più positivo di questo 2016 sia stato il dibattito sollevato prima e dopo l'approvazione della legge stessa. Parlare di questo tema, riconoscere l'esistenza del problema, è la condizione sine qua non per poterlo risolvere.

Qualcosa già si sta muovendo. Il rapporto 2016 Waste Watcher ha registrato un'aumentata sensibilità degli italiani sul tema dello spreco alimentare in rapporto all'impatto ambientale: 9 su 10 mettono in relazione i due aspetti e oltre il 90% chiede di affrontare il tema dell'educazione alimentare già tra i banchi di scuola. Il desiderio di tramandare l'attenzione a queste tematiche alle generazioni future, fortunatamente, è sempre più forte: in un anno si è passati dal 62% a un 78% di italiani vogliosi di comunicare la sensibilità agli sprechi ai figli. Una sobrietà diffusa che investe anche le festività. Le campagne di sensibilizzazione stanno raccogliendo i primi frutti: il 45% degli italiani vive lo spreco come un problema, mentre secondo i due terzi del campione il Natale non è più sinonimo di opulenza, addirittura per il 20% esso è un momento di finzione. Più che ai regali, quindi, si presta attenzione al cibo buono e a non sprecarlo.
Tutto bene, dunque? No, perché dall'altra solo 1 intervistato su 4 riconosce che ciò che finisce nella pattumiera di casa è la vera voragine del sistema. Le colpe vengono addossate alla distribuzione, alla ristorazione e alla filiera, quando in realtà nella Penisola lo spreco domestico rappresenta il 75% di quello complessivo. Per colmare questo vuoto servono monitoraggi ad hoc che, come già anticipato sopra, non sono previsti dalla legge.

Ecco allora i buoni propositi per l'anno che verrà. A gennaio partiranno i Diari di famiglia del progetto Reduce e Waste Watcher, misurazioni scientifiche in 400 famiglie per quantificare lo spreco reale e non solo quello percepito. La lotta allo spreco parte dalla consapevolezza e passa poi dalle buone pratiche in cucina e nelle abitudini quotidiane di acquisto. Solo studiando il viaggio del cibo dalla dispensa di casa al frigorifero, dai fornelli al bidone della spazzatura si potranno garantire adeguate politiche di prevenzione. Basta poco in fondo. Ma per cambiare davvero dobbiamo pensare a un 2017 che ci serva ad uscire tanto dalla logica di crescita (economica) materiale e infinita quanto dalla cultura dello scarto (umano) e degli sprechi (alimentari), come ha scritto Papa Francesco nell'Enciclica Laudato Si'. Così il contrasto allo spreco diventerà occasione di cambiamento vero e sarà, allora, soltanto un ricordo.

Andrea Segrè

Presidente della Fondazione Mach di San Michele all'Adige

comments powered by Disqus