Le stufe, fabbriche di polveri sottili

Le stufe, fabbriche di polveri sottili

di Eliseo Antonini

«L’altro tema sempre aperto è quello della combustione domestica della legna, per il quale l’incertezza dei dati sui consumi può portare a variazioni delle stime di emissioni complessivamente rilevanti a livello provinciale». È la frase finale del rapporto di Appa, «Inventario delle emissioni in atmosfera», redatto da Cisma srl di Bolzano riferito al 2013.

L’inventario per l’Agenzia provinciale Protezione dell’Ambiente  riporta che la combustione della «legna e similari» convertita in energia termica negli apparecchi delle famiglie trentine è di gran lunga la maggiore (80-85%) fonte emissiva di polveri sottili (PM10 e PM2,5). Si tratta, per ciascuna delle due categorie di polveri, di circa 2.600 tonnellate su un totale di circa 3.000 tonnellate annue. Il traffico e il particolato secondario si ripartiscono le restanti 400 tonnellate. Tra il 2010 e il 2013 il parco circolante in Trentino è passato da 566.000 a 745.000 automobili (+32%) a cui si devono aggiungere circa 250.000 mezzi tra motocicli, veicoli leggeri, ciclomotori e veicoli pesanti. La lettura del rapporto dovrebbe allarmare e subito mettere in azione le Autorità politiche e sanitarie provinciali. L’importanza sociale del tema al vero è evidenziata nel Rapporto Epidemiologico dell’Agenzia per i servizi sanitari (Apss, 2010) dove un capitolo è dedicato alle implicazioni sulla salute degli inquinanti dell’aria. In esso si riporta il numero dei decessi da malattie respiratorie e cardiovascolari attribuibili all’esposizione da polveri sottili, decessi che in Trentino sono quantificabili in circa 4-5 persone (2009 e 2010). La situazione però, va detto, è in miglioramento.

Nell’inventario di Appa, in effetti, gli elementi d’incertezza sono consistenti. Ne evidenzio alcuni.

Il primo: la determinazione del livello emissivo della combustione di «legna e similari» si basa sulla quantità consumata in provincia, ma - come si dice nelle conclusioni - non è ancora noto con sufficiente certezza il consumo di combustibili legnosi sul territorio. Chi lo dovrebbe fornire questo dato? Basare le analisi su un consumo medio di combustibili legnosi delle famiglie trentine e moltiplicarlo per il suo numero induce forse a gradi di incertezza superiore. Se aumentano le famiglie, aumentano quindi le emissioni dalla combustione della legna e viceversa? Non hanno quindi nessun ruolo né il tipo di apparecchio né il relativo combustibile usato? Ancorare l’analisi su un dato di partenza definito incerto non è forse la strategia migliore per fornire certezze.

Secondo aspetto: gli inventari, riferiti agli anni passati, usavano fattori di emissione (quantità di polveri emessa da un dato apparecchio - stufa, camino o caldaia - per unità di combustibile utilizzato) più bassi rispetto a quelli usati in questo ultimo rapporto. Tali fattori sono stati incrementati e sono quindi aumentate anche le emissioni totali. Le emissioni da legna aumenterebbero anche a parità di legna consumata.

Terza criticità: è stato assegnato ai vari combustibili legnosi il medesimo valore energetico medio (13 GJ/t) su cui si calcolano i valori emissivi (grammi di poveri sottili per GJ). Questa calcolo ai fini pratici, non corrisponde al vero. La legna da ardere, il pellet e il cippato, per come nella prassi sono impiegati, hanno infatti valori energetici assai differenti i quali dovrebbero essere tenuti in debita considerazione. Le moderne capacità di calcolo, di gestione delle variabili e il ricorso sempre più frequente agli algoritmi dovrebbero servire, a mio parere, a circoscrivere l’incertezza, non a sollevare ulteriori elementi di incertezza introducendo semplificazioni che allontanano dalla descrizione del fenomeno.

È stata fatta a Storo una campagna di misura della qualità dell’aria tramite una stazione mobile (Appa agosto 2013-2014) che ci dice due cose. La prima: su base annua al primo posto troviamo il particolato secondario (42%), seguito dal traffico (30%) e solo al terzo posto troviamo le emissioni da legno (24%). Secondo aspetto, ci dice che nel periodo critico, tra novembre e febbraio, le polveri sottili da legno contano per il 71%, mentre il traffico solo per il 18% e 10% il particolato secondario. Questi valori, mi pare, non collimano con il dato dell’80-85% dell’inventario Appa.

In Trentino, come in tutto l’arco alpino, la legna è una fonte di calore diffusa e irrinunciabile. Spesso però, questo è vero, si brucia male e in apparecchi non efficienti. Qui si deve fare molto di più.

Bisogna innanzitutto far passare l’idea che la legna è un combustibile e che la stufa o la caldaia vanno usata correttamente, così come nessuno metterebbe il diesel nell’auto a metano. Bisogna usare solo legna e ben stagionata, favorire l’uso di apparecchi più efficienti e fare impianti ben progettati (esempio: legna da ardere abbinata sempre a un accumulo termico inerziale e sfruttare così anche il solare termico in estate), serramenti moderni e isolare bene gli edifici.

In questo contesto non è chiaro il motivo per cui nella passata gestione dei finanziamenti europei per lo sviluppo regionale trentino (Fesr 2007-2013) si è, in modo sproporzionato, investito sul fotovoltaico (godeva già di tariffe incentivanti e inoltre il Trentino è già 100% green in fatto di elettricità) anziché sulla sostituzione mirata di vecchie stufe economiche con apparecchi moderni a biomasse legnose? Questo avrebbe permesso di conseguire allo stesso tempo tre obiettivi: ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera, aumentare la quota provinciale di energia termica rinnovabile (il Trentino è solo al 18%) e sostituire i combustili fossili, metano, gasolio e Gpl, le principali fonte di gas climalteranti in Trentino.

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