Archeologia / La scoperta

In una grotta in Liguria ritrovata la bambina di diecimila anni fa, morta a 40 giorni

A scoprirla e studiarla un gruppo di ricerca internazionale - coordinato dagli italiani Stefano Benazzi, dell'Università di Bologna, Fabio Negrino, dell'Università di Genova, Marco Peresani, dell'Università di Ferrara, e il supporto del Sincrotrone Elettra di Trieste - il cui lavoro è stato pubblicato su Scientific Reports

GENOVA. Circondata da un corredo di ciondoli e perline: è stata scoperta in Italia, in una grotta della Liguria, la più antica sepoltura di una neonata in Europa, vissuta 10.000 anni fa. Ribattezzata Neve, era una bimba di appena 40 giorni. A scoprirla e studiarla un gruppo di ricerca internazionale - coordinato dagli italiani Stefano Benazzi, dell'Università di Bologna, Fabio Negrino, dell'Università di Genova, Marco Peresani, dell'Università di Ferrara, e il supporto del Sincrotrone Elettra di Trieste - il cui lavoro è stato pubblicato su Scientific Reports.

I resti sono stati rinvenuti in una grotta nell'entroterra di Albenga, in provincia di Savona, accompagnati da un corredo formato da oltre 60 perline in conchiglie forate, quattro ciondoli, sempre forati, ricavati da frammenti di bivalvi, e un artiglio di gufo reale risalenti a circa 10mila anni fa, un periodo che ha segnato probabilmente grandi cambiamenti sociali nelle popolazioni umane, legati agli adattamenti dovuti alla fine dell'ultima era glaciale.

Le analisi indicano che al momento della morte, Neve aveva tra 40 e 50 giorni, che la madre si cibava di carni e che forse a causa di alcuni stress fisiologici la crescita dei denti del feto si era interrotta uno o due mesi prima del parto. "La scoperta di Neve è di eccezionale importanza - ha commentato Benazzi - e ci aiuterà a colmare molte lacune, gettando luce sull'antica struttura sociale e sul comportamento funerario e rituale di questi nostri antenati".

 

Arma Veirana è una cavità, lunga una quarantina di metri e dalla curiosa forma a capanna, nota da tempo agli abitanti della val Neva, ma trovandosi lontana dalla costa e non essendo di facile accesso non è mai stata oggetto di indagini archeologiche programmate. Solo alcuni scavatori clandestini ne avevano compreso l’importanza, mettendo in luce, attraverso due sondaggi, livelli con manufatti litici e fauna riferibili a frequentazioni umane del Paleolitico medio (uomo di Neanderthal) e del tardo Paleolitico superiore (Homo sapiens). Nella terra rimaneggiata derivante dagli scassi dei clandestini Giuseppe Vicino, ex-conservatore del Museo Archeologico di Finale, raccolse nel 2006 alcuni reperti che consegnò alla Soprintendenza, facendo quindi conoscere il sito alla comunità scientifica.

Il team dedicò le prime due campagne di scavo (2015 e 2016) ad indagare il deposito prossimo all'imboccatura della cavità. Nel 2017, ampliando le attività di scavo verso la parte più interna della cavità, apparvero alcune conchiglie forate; si iniziò quindi a sospettare la presenza di una possibile sepoltura. E così accadde.

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