Padova, mandato di arresto per la sospetta kamikaze

Meriem Rehaily, ex studentessa modello di Arzegrande, è fuggita in Siria per far parte di una brigata

«Non ci fermeremo fino alla conquista di Roma»: sono bastati pochi mesi per trasformare una studentessa marocchina modello, appassionata di informatica e in Italia da 10 anni, in una terrorista pronta a immolarsi per la causa dell’Isis. Meriem Rehaily, la ragazza ventenne di Arzegrande (Padova) fuggita dalla casa dei genitori il 14 luglio di un anno fa per raccogliere il richiamo del jihad, è inseguita da un mandato d’arresto emesso dalla Procura antiterrorismo di Venezia sulla base di quanto gli investigatori dei Ros di Padova hanno scoperto sui suoi contatti, prima di eclissarsi e nei mesi immediatamente successivi. Il sospetto è che possa tornare sui suoi passi, per attuare un’azione kamikaze sotto la bandiera dell’Is.
 
Sono proprio i messaggi e i file audio scambiati con le amiche a tracciare un nuovo profilo di Meriem, pronta ad abbandonare i familiari e una vita spensierata per imbarcarsi in un aereo che da Bologna l’aveva portata a Istanbul, e da lì in Siria, per ingrossare le fila dei combattenti del Califfato. Una fuga progettata e attuata grazie agli amici conosciuti in internet. Senza nessun ripensamento. «Scusa cara mamma - scrive «Rim l’italiana» come si fa chiamate in rete - ci vediamo in Paradiso». Oggi la studentessa potrebbe far parte della brigata Al Khansa, composta esclusivamente da donne, soprattutto di origini europee e russe, addestrate all’uso delle armi e degli esplosivi. Le sue ultime tracce la danno sotto i bombardamenti di Rakka. «Ho chiamato i miei genitori sotto le bombe» dice, non nascondendo la commozione, in un file audio scambiato con una amica. 
 
A spingere Meriem ad abbracciare la causa di al-Baghdadi, al punto da scrivere alle compagne «non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa», la visione su internet del video di una donna musulmana che racconta di essere stata violentata da cinque uomini delle forze armate di Assad, davanti ai figli. L’episodio, come riferisce una delle sue insegnati, l’aveva portata negli ultimi giorni trascorsi sui banchi di scuola ad una riflessione. Per avere la meglio su quelli che definisce i «nemici sionisti», la ragazzina non vede che una sola strada: «Dobbiamo rispettare la nostra religione anche a costo di morire, anche allevando i nostri figli secondo i valori islamici, rendendoli pronti per il loro ruolo nella lotta».

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