Yara, i legali di Bossetti e la «pista» del bullismo

Lasciata intravvedere un'ipotesi «alternativa»

Sarà la sorella maggiore, Keba, venerdì prossimo a completare il commovente ritratto di Yara Gambirasio tracciato dai genitori della tredicenne uccisa nel processo a carico dell'unico indagato per quell'omicidio: Massimo Bossetti. I suoi difensori credono di aver messo a segno un colpo importante quando la Corte ha disposto l'acquisizione dei cosiddetti «dati grezzi» (ovvero i fogli di lavoro) alla base della relazione del Ris dei carabinieri in cui è stabilito che è del muratore di Mapello il dna trovato sui leggings e sugli slip di Yara e, nella scorsa udienza, hanno lasciato intravvedere, senza esplicitarle in aula, su quali possibili ipotesi alternative stanno puntando, compresa anche quella del bullismo.

Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini sia ai genitori sia alle istruttrici di ginnastica ritmica della tredicenne hanno posto insistite domande sulla forza fisica della giovane ginnasta. Hanno fatto rilevare come tra i libri presi in prestito da Yara ve ne fosse uno sul bullismo e che la ragazza aveva fatto ricerche in Internet sulla violenza alle donne («era rimasta molto impressionata dalla vicenda di Sarah Scazzi», aveva risposto Maura Panarese, la mamma della ragazza). Altre domande su una zona chiamata «gazebo», nei pressi della palestra in cui, fino a qualche anno fa, ha risposto il padre di Yara, si ritrovavano dei «ragazzacci» a bere birra (quando la ragazza sparì, ha ricordato però Gambirasio, la zona era interdetta per via di lavori).

Altra suggestione, emersa senza seguito nell'immediatezza del ritrovamento del corpo di Yara: le ferite a X sulla schiena. Camporini ha sottolineato una presunta analogia con un simbolo utilizzato nella ginnastica ritmica e che significa «senza mani». Poi le domande, reiterate, a Silvia Brena, una delle allenatrici della palestra il cui Dna fu trovato sul giubbotto di Yara: la giovane donna ha spiegato che era previsto il contatto fisico durante gli allenamenti oppure che il contatto poteva essere accaduto durante un abbraccio, un saluto. Domande anche sui suoi movimenti di quel giorno (la ragazza era in palestra ad allenare mentre Yara fu presa sulla via a casa).

Domande bollate come «irrilevanti» dal presidente della Corte Antonella Bertoja, che ha spiegato come non fosse quella «la sede in cui percorrere indagini parallele». Tutti argomenti, però, dei quali i difensori promettono di riparlare, così come hanno puntato il dito sui «non ricordo» di alcuni dei testimoni: «Bossetti è in carcere per i "non ricordo", perché dovremmo accettarli da loro?».

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