Pressing sul ministro Lupi Sel e M5S: si dimetta

Sale di tono la polemica politica sulla scia dell’inchiesta su tangenti e appalti pubblici delel grandi opere, che ha portato all’arresto di Ercole Incalza, già potente capo della Struttura tecnica di missione al ministero delle infrastrutture, del suo collaboratore Sandro Pacella e degli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo.

Sale di tono la polemica politica sulla scia dell’inchiesta su tangenti e appalti pubblici delel grandi opere, che ha portato all’arresto di Ercole Incalza, già potente capo della Struttura tecnica di missione al ministero delle infrastrutture, del suo collaboratore Sandro Pacella e degli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo. Dalle opposizioni parlamentari aumenta il pressing sul governo affinché si chiarisca la posizione del ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi (Nuovo centrodestra), da sempre paladino delle grandi opere, e in particolare dei suoi rapporti con Incalza.

Sinistra ecologia e libertà aveva già in programma oggi una conferenza stampa per chiedere l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui progetti Tav oggetto di svariate inchieste giudiziarie e in ogni caso caratterizzati da enormi lievitazioni dei prezzi.

Sel, alla luce della nuova inchiesta, porrà il problema della permanenza del ministro Lupi nella compagine governativa. Tutto ciò dopo la «difesa da parte del ministro dell’ingegner Incalza» avvenuta in un recente question time nel quale, peraltro, l’esponente dell’esecutivo aveva dovuto fare cenno alle numerose vicende giudiziarie (diverse volte risoltesi con la prescrizione, altre con l’archiviazione) nelle quali era rimasto coinvolto l’ex dirigente ministeriale.

Una mozione di sfiducia comune per il ministro è la proposta lanciata dal capogruppo di Sel, Arturo Scotto, «a tutte le opposizione, ad aree del Pd e anche ad altre aree» del Parlamento. «Sarebbe un atto di forza e un segno di interesse reale» per la «scioccante» vicenda dell’inchiesta «Sistema», sottolinea Scotto.

Duro anche il movimento Cinque stelle: «Vogliamo che Lupi si dimetta immediatamente, chieda scusa e restituisca tutti i soldi che ha rubato, in un Paese normale sarebbe già successo», afferma il deputato Alessandro Di Battista «Oltre che degli hooligans che devastano Roma - attacca - i magistrati si occupino di questi hooligans al governo che qualsiasi cosa toccano la distruggono. Non girano con la sciarpetta ma con gli abiti firmati, come dimostra Lupi». Una mozione di sfiducia nei riguardi di Lupi è stata annunciata anche dal deputato trentino M5S Riccardo Fraccaro che parla anche delle connessioni con i lavori Tav al Brennero «dove è impegnata anche l'impresa di Perotti.»

Renzi, dopo la notizia degli arresti, è stato freddo con il membro del suo gabinetto: non ha avuto alcun contatto, a quanto si apprende, con il ministro Maurizio Lupi. Sta a lui, spiegano fonti governative, chiarire la situazione e dimostrare di non avere nulla da nascondere. E sia chiaro, si precisa da palazzo
Chigi, che Ercole Incalza era attualmente un consulente esterno del ministero delle Infrastrutture e non un dirigente governativo.

«Serve chiarezza, in gioco sono l’immagine e la credibilità del nostro paese», dice il renziano Walter Verini, capogruppo in commissione giustizia, chiedendo aLupi di riferire «presto» in Parlamento.

Parla anche l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani: «Per due volte tolsi le concessioni Tav e la decisione dai giornali fu accolta nel silenzio misto ad un invito a riflettere sui tempi dell’opera. Ora vedo che tutti gridano allo scandalo...», ricorda conversando in Transatlantico alla Camera, sottolineando come da ministro cercò di contrastare il sistema di corruzione sulle grandi opere emerso nell’inchiesta della procura di Firenze. Secondo l’ex ministro, è tempo «di riflettere e di fare chiarezza» su quanto sta emergendo.

Dal Pd si sono levate anche voci particolarmente caute, all’insegna del garantismo, da Ermete Realacci a Ivan Scalfarotto, sull’opportunità di mettere in discussione il ruolo di Lupi nel governo, prima che siano chiariti i contorni di una vicenda giudiziaria nella quale il ministro non è indagato, ma dalla quale emergono i suoi rapporti stretti con Incalza.

Altre voci dem sono più determinate: il senatore capogruppo Pd in commissione lavori pubblici, Marco Filippi, ha appena chiesto l’audizione del ministro Lupi, «soprattutto a seguito di quanto accaduto in questi giorni sulle inchieste sulle grandi opere».

Sarcastico l’esponente del dissenso di sinistra alla linea Renzi, il dem Pippo Civati, che alludendo ai silenzi del premier dopo la notizia, scrive: «Matteo Renzi individuò nelle ragioni di opportunità politiche e istituzionali le motivazioni delle dimissioni di una ministra del governo Letta. Chissà se il ragionamento - per una volta preciso e pienamente convidisibile - varrà anche per il ministro Lupi». Il deputato lombardo lo scrive sul suo blog facendo riferimento alle parole di Renzi in merito alla vicenda Ligresti, che vide protagonista l’allora ministro della giustizia Annamaria Cancellieri.

Anche la Lega Nord invita Lupi a riferire più preso al Parlamento e non esclude la richiesta di dimissioni: «Incalza dice di aver contributo alla stesura del programma dell’Ncd. Sarebbe gravissimo se fosse vero», dicono i due capigruppo al Senato e alla Camera Gianmarco Centinaio e Massimiliano Fedriga.

«Io non condanno nessuno, però mi aspetto che il ministro dell’interno o il presidente del consiglio vengano in Parlamento a spiegare agli italiani se è tutto falso o se c’è qualcosa di vero. E se c’è qualcosa di vero non possiamo avere un ministro dell’Interno e un ministro delle Infrastrutture che lavorano con delle ombre del genere», ha detto poco fa il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, ad Agorà su Raitre.

Lupi, intanto, minimizza e fa sapere che non ha nessuna intenzione di lasciare l’incarico che ricopriva anche nel governo precedente, guidato da Enrico Letta.
«Provo soprattutto l’amarezza di un padre nel vedere il proprio figlio sbattuto in prima pagina come un mostro senza alcuna colpa. Quando per tutta la vita ho educato i miei figli a non chiedere favori, nè io ho mai cercato scorciatoie per loro», dice oggi in un’intervista al quotidiano «La Repubblica».

Alla domanda se pensi a un passo indietro, Lupi risponde così: «No, le dimissioni no. Anche se, per la prima volta, vedendo tirato in ballo ingiustamente mio figlio, mi sono chiesto se il gioco valga la candela. Se fare politica significhi far pagare questo sacrifico alle persone che ami. Sa la battuta che faccio sempre a Luca? Purtroppo hai fatto Ingegneria civile e ti sei ritrovato un padre ministro delle Infrastrutture».

E sul ruolo di Ercole Incalza, Lupi spiega: «C’è la presunzione di innocenza, ma è chiaro che se dovessero risultare fondate le accuse sarebbe una sconfitta per tutti. Incalza, che è stato al ministero per anni e ha lavorato con tutti i ministri, tranne Di Pietro, è stato il padre della Legge obiettivo (che oggi, però, esponenti di Sel e del Pd chedono venga abolita o modificata, ndr).

È uno dei tecnici più stimati nel suo settore, anche in Europa ce lo invidiavano. È stato sempre riconfermato proprio per le capacità tecniche riconosciute da tutti. In questi venti mesi non ho mai incontrato un presidente di Regione che non mi abbia dato un giudizio positivo su di lui. L’obiettivo era realizzare le grandi opere e recuperare il drammatico gap infrastrutturale dell’Italia ed Ercole Incalza poteva garantire la professionalità necessaria».

Lupi si sofferma anche sull’intercettazione in cui aveva minacciato la crisi di governo: «era una battaglia politica, non difendevo la persona», «ma l’integrità del ministero. Si stava discutendo di legge di Stabilità e del futuro della nuova Struttura tecnica di missione».

«Al telefono con Incalza - racconta Lupi - ho ripetuto quello che avevo detto nelle discussioni politiche», «dicevo che era un errore togliere al ministero quella struttura, amputandolo di un braccio operativo. Qualora non ci fosse più stata fiducia nel ministro si faceva prima a cambiare ministro, non depotenziando il ministero».
Le intercettazioni sul viceministro alle infrastrutture Riccardo Nencini? «Questo è il limite delle intercettazioni, che non rendono il tono scherzoso delle conversazioni. Io allora conoscevo poco Nencini e Del Basso De Caro». «Sapendo che erano socialisti come Incalza, lo prendevo in giro».

Nell’inchiesta fiorentina compaiono tra i 51 indagati anche ex politici di diversa provenienza, dal Pd al centrodestra, diventati poi manager e «prestati» al lavoro di impresa.
Nell’elenco delle persone indagate a vario titolo per corruzione, turbata libertà degli incanti e altri reati contro la pubblica amministrazione ci sono ad esempio ex sottosegretari, ex parlamentari ed ex amministratori locali. Tra questi spiccano i nomi di Rocco Girlanda, ex sottosegretario ai trasporti, o di Antonio Bargone, anche lui in passato ha ricoperto tale incarico e poi presidente della autostrada Sat.

Oppure l’ex deputato Stefano Saglia, poi nel cda di Terna, e Vito Bonsignore, ex presidente del gruppo Ppe.
Nutrito anche il gruppo degli ex amministratori locali: tra loro l’ex consigliere regionale dell’Emilia Romagna Vladimiro Fiammenghi, l’ex assessore alla mobilità della stessa regione Alfredo Peri e Graziano Patuzzi, ex presidente della Provincia di Modena e poi presidente della società per la strada Cispadana.

Tra gli ex politici anche l’ex senatore Fedele Sanciu, ora commissario dell’autorità portuale del nord della Sardegna, l’ex assessore al bilancio del Comune di Milano Giacomo Beretta.
Nel gruppo dei manager figurano anche i nomi dell’ad di Rfi Maurizio Gentile, di Furio Saraceno, ex presidente di Nodavia, Luigi Fiorillo (Ferrovie Sudest), Angelo Caridi, ex ad di Snam progetti, Giandomenico Ghella che è stato ai vertici di Ance, Andrea Castellotti, ex facility manager di Padiglione Italia a Expo, già indagato nell’inchiesta milanese, Giulio Burchi, ex presidente di Italferr e Antonio Acerbo, ex subcommissario di Expo.

Nelle carte dell’inchiesta compaiono spesso i nomi dei figli degli stessi indagati, alcuni dei quali nella stessa situazione dei padri. Due anche i nomi di figli di esponenti che in passato hanno avuto a che fare con antiche inchieste su tangenti: Pasquale Trane, figlio di Rocco Trane, e Giovanni Li Calzi, figlio di Epifanio Li Calzi.

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