Blitz del Pdl sulla giustizia

Ufficialmente Silvio Berlusconi ha garantito a Giorgio Napolitano il suo sostegno e quello del Pdl all'azione del governo guidato da Enrico Letta. Ma non sono passate nemmeno 24 ore dall'incontro al Colle che tra i due maggiori partiti che sostengono il governo torna a salire la tensione. A scatenare le polemiche è la decisione del Pdl di forzare la mano sulla riforma della giustizia, inserendola nel ddl sulle riforme costituzionali all'esame della commissione Affari costituzionali di palazzo Madama

Ufficialmente Silvio Berlusconi ha garantito a Giorgio Napolitano il suo sostegno e quello del Pdl all'azione del governo guidato da Enrico Letta. Ma non sono passate nemmeno 24 ore dall'incontro al Colle che tra i due maggiori partiti che sostengono il governo torna a salire la tensione. A scatenare le polemiche è la decisione del Pdl di forzare la mano sulla riforma della giustizia, inserendola nel ddl sulle riforme costituzionali all'esame della commissione Affari costituzionali di palazzo Madama. È proprio in prima Commissione, a firma di tutti i pidiellini, che viene infatti depositato un emendamento in cui si chiede agli esponenti della Bicamerale per le riforme di occuparsi anche della riforma dei titoli IV e VI della Costituzione, che riguardano magistratura e Corte costituzionale. Poche righe che di fatto rompono il patto siglato nella mozione parlamentare che ha dato il via al ddl del governo escludendo tra le materie in discussione ogni tipo di riforma della giustizia e della magistratura.
La decisione degli esponenti del Pdl (il testo è firmato anche dai due capigruppo Schifani e Brunetta) arriva a pochi giorni dalla condanna in primo grado per Silvio Berlusconi nell'ambito del processo Ruby, dopo la pronuncia costituzionale sull'inesistenza di legittimo impedimento per un'udienza del caso Mediaset e con in corso i giudizi sul lodo Mondadori e sulla compravendita dei senatori.
Ma i firmatari smentiscono che ci sia una correlazione con i problemi giudiziari del Cavaliere, sottolineando che ben prima della sentenza Ruby era emersa l'intenzione di modificare anche la parte della Costituzione che riguarda la giustizia: «Su questi emendamenti si vuole creare un falso problema», dice Renato Schifani che, promettendo «la necessaria cautela» e nessuno «spirito di rivalsa», conferma però la necessità di intervenire sulla materia. «Se si decide che cambiano i poteri del presidente della Repubblica - spiega Anna Maria Bernini - si deve intervenire su tutti i pesi e contrappesi. E quindi, ad esempio, modificare il potere di nomina dei giudici costituzionali da parte del capo dello Stato. Capisco tutte le interpretazioni, ma il nostro non è un blitz».
Non la pensa allo stesso modo il Partito democratico che non esita a bollare come «inaccettabile» l'emendamento presentato dagli esponenti di via dell'Umiltà. L'intenzione del Pd è quella di alzare un muro, forte anche dei numeri dalla sua parte. Già, perché il Pdl da solo non ha la forza per poter approvare l'emendamento. L'ipotesi di aprire una trattativa non viene presa in considerazione e, a sgombrare il campo dai dubbi, ci pensa il capogruppo democratico Luigi Zanda, ricordando che «il ddl che la commissione Affari costituzionali del Senato sta esaminando è stato approvato dal Consiglio dei ministri, quindi alla presenza del segretario del Pdl Angelino Alfano».
ntanto, alla Camera lo scontro sulle riforme si materializza in conferenza dei capigruppo. M5S e Sel chiedono infatti di non calendarizzare a luglio la prima lettura del ddl del governo, perchè i tempi della discussione sarebbero troppo stretti. Ma il ministro Dario Franceschini si dice «stupito». Il governo non transige sui tempi e il 29 luglio il ddl sarà in aula.
È tutto interno alla maggioranza invece il braccio di ferro sulla legge elettorale. L'ipotesi di modifiche «di salvaguardia» al Porcellum da fare subito emerge nella conferenza dei capigruppo alla Camera. E trova concorde Franceschini. Ma se Pd e Sc sono favorevoli, il Pdl continua a opporsi. E dall'impasse non si esce.

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