Inclusione / La storia

La gioia per il pallone del piccolo Aron Mariotti: il bimbo, ipovedente, ora gioca con il Calisio

La madre Licia: «Hanno reso mio figlio il bambino più contento del mondo, anche se dall'emozione non ha dormito la notte dopo il primo allenamento. Racconto la nostra storia per far capire ai genitori che hanno le nostre stesse difficoltà che deve esserci speranza per tutti, nello sport e nella vita»

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di Angelo Zambotti

LAVIS. Da una decina di giorni, Aron Mariotti può finalmente divertirsi con quello che per molti è ancora il gioco più bello del mondo, il calcio.

Considerando che Aron ha 9 anni, quella del bambino lavisano potrebbe sembrare una storia comune a tante altre. La realtà è però diversa, e affonda le radici nel 2015, quando Aron nacque di 30 settimane, ed era una minuscola creatura di nemmeno un chilogrammo. Alla venuta al mondo seguirono ben 7 interventi, 4 mesi di ospedale e altre complicazioni. Un calvario proseguito negli anni successivi, tra percorsi di psicomotricità per migliorarne la coordinazione e le sensazioni di mamma Licia e papà Alessandro che qualcos'altro non funzionasse al meglio nel loro secondo figlio, nato poco più di un anno dopo Deva. Nella sanità pubblica le risposte sono sempre state frammentarie, e qualcuno si è pure permesso di dire che erano i genitori «fissati» e che Aron stava benissimo.

Finalmente in una visita privata all'ospedale di Negrar è poi emersa la verità: il piccolo Mariotti è ipovedente, con entrambi gli occhi tra l'uno e i due decimi di acuità visiva, e non concepisce la tridimensionalità. Licia e Alessandro ricordano benissimo l'istante in cui, all'età di 3 anni, Aron ha indossato gli occhiali per la prima volta: lo sguardo sorpreso, la curiosità per un mondo che non aveva mai apprezzato così tanto, le parole per i genitori che non aveva mai notato così belli.

Ecco poi gli anni della scuola dell'infanzia e ora le elementari, sempre a Lavis. Non sono mancati dei tristi episodi di bullismo, ma a compensare l'atteggiamento di qualche bambino fuori dalle righe ci hanno pensato gli insegnanti con la loro sensibilità, anche se non sempre è stato facile trovare un'adeguata copertura di ore di sostegno.

Con il passare del tempo è cresciuta la passione per lo sport: belli i giri sui roller con la sorella, così come le lunghe corse con il papà, ma Aron voleva prendere a calci il pallone in una squadra vera, come i suoi amici. Tante però le porte chiuse trovate da Licia e Alessandro, sia nel calcio che in altri sport. «Non possiamo prendere il vostro bambino, rallenterebbe l'attività di tutti», si sono sentiti dire più volte, anche se sarebbe stata garantita una presenza dei genitori al campo per ovviare a qualsiasi esigenza del figlio. Non è servito neppure chiedere aiuto ad AbilNova, il polo di riferimento per i servizi per la disabilità sensoriale, che per quanto riguarda lo sport ha fatto capire che a Trento non esistono possibilità per bambini così piccoli.

Poi la svolta, in occasione di una manifestazione organizzata al Palavis lo scorso anno. «Lì ho conosciuto Antonio Schifano - racconta la mamma Licia Ferro - al quale ho esposto il nostro problema. Lui mi ha detto "ci sentiamo", e non nego che lì per lì ho pensato ad una risposta di circostanza, avendo incontrato altre persone che poi non si sono più fatte vive. Con lui è andata diversamente, mi ha ricontattato qualche mese fa per dirmi che avrebbe cominciato a collaborare con il Calisio Calcio, società che ci avrebbe accolto subito senza problemi. Non volevo crederci, mi sembrava impossibile, dopo anni in cui ho dovuto raccontare bugie ad Aron: per non metterlo di fronte alla triste realtà, ero obbligata a dirgli che non poteva andare a giocare in una squadra vera perché avrebbe potuto rompere gli occhiali, scusa alla quale lui ha sempre creduto».

La settimana scorsa, emozionatissimo, Aron si è quindi presentato a Martignano, ha raccontato le proprie difficoltà a tutti i coetanei, che hanno subito accolto nel migliore dei modi il nuovo compagno di squadra aiutandolo in ogni cosa. «Non smetterò mai - racconta commossa Licia - di ringraziare il Calisio e Antonio, che lo affianca in ogni allenamento. Hanno reso mio figlio il bambino più contento del mondo, anche se dall'emozione non ha dormito nemmeno un secondo la notte dopo il primo allenamento. Non può giocare le partite, ma in quella squadra si sente un bambino felice come gli altri. Ci tengo a raccontare la nostra storia per far capire ai genitori che hanno le nostre stesse difficoltà che può e deve esserci speranza per tutti, nello sport e nella vita».

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