Cultura / Appuntamento

"Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi": Concetto Vecchio presenta il suo libro a Trento

Il noto giornalista di Repubblica venerdì 17 maggio presenterà il suo libro dedicato al parlamentare socialista assassinato dai fascisti nel 1924. L'incontro alla sala della Cooperazione, con la partecipazione anche di Paolo Ghezzi e Claudio Bassetti

TRENTO. Una figura straordinaria della storia italiana, una vicenda tragica che indicava la svolta autoritaria, violenta, sanguinaria subita dal Paese con l'avvento del fascismo. La figura è quella del socialista Giacomo Matteotti.

Ne parlerà a Trento il giornalista del quotidiano la Repubblica Concetto Vecchio: appuntamento venerdì 17 maggio con la presentazione del libro Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi” (Utet).

Concetto Vecchio parlerà alla Cooperazione in via Segantini, alle 20.30, della sua ultima fatica letteraria, dedicata al parlamentare socialista, che aveva anche radici trentine, assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924.

A dialogare con l'autore, che è stato a lungo giornalista in testate trentine, saranno il suo collega Paolo Ghezzi, già direttore dell'Adige, e Claudio Bassetti, presidente regionale del Cnca (il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), organizzazione che promuove l’appuntamento.

Nel suo paese natale, Fratta Polesine, ricorda la quarta di copertina, Giacomo Matteotti, ucciso dal fascismo, è stato per oltre sessant'anni ricordato con una iscrizione censurata. Nel 1950, con Mario Scelba ministro dell'Interno, non fu permesso di scrivere che «senza pace attende il giorno della giustizia riparatrice».

Solo da un decennio la frase è riapparsa in piazza, ma quel desiderio di giustizia resta in attesa, perché nell'Italia repubblicana Matteotti è ancora solo il nome di una via. E invece la sua vita, per noi oggi, è più importante della sua morte.

Per questo Concetto Vecchio si è messo sulle sue tracce, leggendo le carte degli interventi parlamentari e le lettere d'amore alla moglie Velia, ma anche viaggiando attraverso l'Italia, dalla casa natale nel Polesine alla tomba, dal palazzo del quartiere Flaminio da cui uscì per l'ultima volta alle aule del parlamento in cui viene discussa la proposta di Liliana Segre per le celebrazioni del centenario

IL LIBRO

"Una disgrazia: iersera, tornando da teatro, ho perduto la Sua viola. Era all'occhiello del mio abito, l'ho guardata tante volte nel tempo della rappresentazione, l'ho vista negli specchi; poi, venendo a casa, devo averla perduta. E mi duole, mi duol tanto: è brutto segno. Ho paura, ho tanta paura".

Giacomo Matteotti scrive così da Vienna, in uno dei suoi numerosi soggiorni internazionali, a quella che diventerà presto sua moglie, Velia Titta ("tu possiedi il fondo della mia anima", le scriverà anni dopo), conosciuta poco tempo prima, durante una vacanza all'Abetone e mai più lasciata in un rapporto complesso fatto più di assenza che di vicinanza. E di paura, perchè quella viola è un segno che nulla andrà come deve andare.   

È il 1912 e la lettera, parte di un epistolario raccolto con dedizione da Stefano Caretti ma mai pubblicato, è uno dei tasselli che mette insieme Concetto Vecchio in 'Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi', volume appena pubblicato da Utet che vuole riportare la figura del grande politico al centro, nel posto che merita. Il principio da cui parte Vecchio è: perché abbiamo dimenticato Matteotti? È la domanda da cui prende spunto all'inizio, come in un'indagine poliziesca non sull'omicidio ma sulla rimozione, perché solo nel 2011 la targa nella piazza del suo paese è stata completata, perché nel palazzo dove viveva ai Parioli a Roma è stato un inquilino a pagare l'iscrizione per ricordarlo.   

Viaggiando sul lento treno che lo porta tra la nebbia di Fratta Polesine, dove finalmente dopo anni di battaglie e spostamenti trova pace il feretro di Giacomo Matteotti, Concetto Vecchio cerca di dare una risposta. L'autore, che a più riprese sostiene e ribadisce di non voler scrivere un libro di storia né una biografia, ripercorre la vicenda umana e politica del deputato socialista dalla nascita all'omicidio avvenuto in circostanze misteriose il 10 giugno del 1924. Giacomo Matteotti aveva 39 anni e finiva così l'esistenza di un uomo, figlio unico di una madre vedova, ultimo di quattro fratelli prematuramente scomparsi, una famiglia ricca, commercianti borghesi divenuti grandi proprietari terrieri.   

Eppure lui, laureato in giurisprudenza, dedicherà la sua vita ai diritti dei braccianti, degli operai, dei poveri agricoltori che saranno il primo bersaglio del fascismo nascente in Polesine, con violenza inaudita. I suoi discorsi alla Camera, concreti diretti, senza infingimenti retorici, sono l'ossatura di questo bel libro militante sul senso di un'esistenza che per mille rivoli di un'Italia oscura, prima e dopo la guerra, scompare tra le pieghe della storia.   

Anche dopo la morte pesa l'impegno visionario di Matteotti - il "pellegrino del nulla" per Gramsci - per gli ultimi e contro il potere, anche dopo la fine della guerra. Tanto che la sua famiglia, i figli e poi i nipoti non ameranno parlarne e il silenzio, in questo libro che si legge anche come un giallo, è l'accusa più grande.

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