Giustizia

Condannato per la cena aziendale: l’ex direttore dell’Apsp di Levico dovrà pagare 5.940 euro

La difesa: “Iniziativa per accrescere il benessere del personale”. Ma per la Corte dei conti non va considerata spesa di rappresentanza: non ha alcuna utilità pubblica

LEVICO. La cena aziendale non può essere considerata una spesa di rappresentanza. La Corte dei conti di Trento, sezione giurisdizionale, su questo punto è stata chiara e ha condannato l'ex direttore generale, ora in pensione, dell'Apsp di Levico a pagare a favore dell'azienda pubblica di servizi alla persona 5.940 euro.

La cena risale al 2019, l'atto di citazione della procura erariale invece è del 30 settembre scorso e comprende altre contestazioni: l'acquisto di spille per benemerenze (3.600 euro), le ciotole per i pensionamenti (300 euro), una composizione floreale in occasione della cena aziendale (100 euro), attestati di benemerenza (109 euro).

Il danno erariale complessivo è stato stimato in 10.130 euro, pari alla cifra che l'Apsp aveva contabilizzato come "spese di rappresentanza". La procura, nelle contestazioni, ricorda che l'azienda pubblica di servizi alla persona, ente senza fini di lucro, deve rispettare i principi di efficienza ed economicità e il vincolo «di contenimento della finanza pubblica», dato che beneficia di contributi pubblici. In tale ottica - evidenzia l'accusa - la spesa di quasi 6mila euro per la cena sociale di fine anno per i dipendenti non può essere valuta come una forma di incentivo per aumentare la produttività dei lavoratori.

L'ex direttore si è difeso evidenziando che le Apsp hanno «notevoli problematiche» «nel reclutare e mentenere in servizio personale dedito all'assistenza degli anziani» (all'epoca i dipendenti erano 314) e che tutte le spese contestate, condivise dal Cda con delibera, erano state fatte «per gratificare le risorse umane presenti in azienda».

La cena, che ha visto la partecipazione di circa 180 fra dipendenti ed amministratori, e la composizione floreale sarebbero state, dunque, finalizzate a «accrescere il benessere del personale». Ma per la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti nel caso specifico non ci sono i presupposti di legittimità di tale esborso, mancando i requisiti che identificano le spese di rappresentanza (ossia la proiezione esterna, l'estraneità e particolare rappresentatività dei soggetti e l'accrescimento del prestigio).

L'evento, insomma, non ha avuto alcuna utilità pubblica. Né vale la tesi della difesa di aver organizzato la cena come "strategia aziendale" per il benessere dei dipendenti, in quanto l'incentivazione economica o il welfare aziendale va inserito nella contrattazione collettiva o decentrata.

Riguardo all'acquisto di spille d'oro e pergamene di benemerenza, il Collegio ritiene che manchi il danno, mentre per le spese per le ciotole e i fiori, disposte dall'economo, non sussiste la responsabilità amministrativa dell'ex direttore «in quanto non è stata fornita prova del nesso di causalità omissiva, né risulta agli atti alcun profilo di colpa grave».

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