Valsugana

Fanelli, pediatra oltre la pensione: «Mi impegnerò ancora per i bambini»

Ha lavorato tra Vigolo Vattaro, Caldonazzo, Levico, Lavarone e in Africa. In Trentino arrivò nel 1993 da Taranto, ricorda gli anni in ambulatorio: «Sono stato ben accolto e accettato, mi sono plasmato al contesto. Quando mi è stato proposto di andare a lavorare in ospedale o trasferirmi a Trento ho preferito rimanere in periferia, dove i rapporti sono più autentici e forti»

di Andrea Orsolin

VALSUGANA - Taranto e il Trentino avevano in comune probabilmente solo qualche lettera, prima che un dottore percorresse i mille chilometri che separano la città pugliese e la nostra provincia, entrando nel cuore di tantissime persone. Quel dottore è Carmelo Fanelli, 68 anni, il pediatra che arrivò qui nel marzo 1993 e che dal 1 aprile di quest'anno ha raggiunto la pensione. Trentadue anni a curare bambini tra Vigolo Vattaro, Levico, Caldonazzo e Lavarone, ma anche nel continente africano con Medici con l'Africa Cuamm, organizzazione che promuove e tutela la salute di quelle popolazioni e con la quale continuerà il suo impegno.

Dottor Fanelli, come è arrivato un pugliese come lei in Trentino?

«Durante gli studi universitari a Bologna ebbi la fortuna di conoscere il dottor Carlo Spagnolli di Rovereto, tramite un sacerdote amico in comune: mi ha preso come suo studente all'ospedale di Angal, in Uganda. Ogni tanto lo vedevo incantarsi davanti alle foto delle montagne e io, che venivo dal mare, gli dicevo: "Cosa ci troverà mai di bello?". Poi con gli anni ho capito. Inoltre, ad inizio anni Novanta ero in Tanzania dove incontravo spesso un gruppo di volontari di Pinzolo con i quali avevo legato. Mi prendevano in giro, invitandomi a venire in Trentino: "Ma con tutti i posti che ci sono in Italia, proprio lì devo andare?". Sono stati profetici. Dopo l'Africa scoprii che un mio amico, il dottor Carlo Frisoni, mi aveva iscritto nelle graduatorie del Trentino per i pediatri. Venni chiamato dal funzionario di Pergine, accettai il lavoro e iniziai nel marzo 1993».

Come sono stati gli inizi?

«L'impatto è stato duro: venivo da una grossa città di mare molto aperta, e dall'esperienza in Africa. La mia prima visita domiciliare fu Luserna: a parte il Kilimangiaro visto da lontano, non ero mai stato in montagna. Rimasi shockato, anche piacevolmente, vista la bellezza del posto».

Poi però si è ben presto abituato.

«Sono stato ben accolto e accettato, mi sono plasmato al contesto. Quando mi è stato proposto di andare a lavorare in ospedale o trasferirmi a Trento ho preferito rimanere in periferia, dove i rapporti sono più autentici e forti».

Qual è stata la sua soddisfazione più grande?

«Il riconoscere negli atteggiamenti degli assistiti segnali di stima, affetto e fiducia. Questo lavoro mi ha entusiasmato tantissimo, lo ho lasciato con dispiacere: la forza che ti trasmettono i bambini è grandissima, con le famiglie instauri rapporti intensi».

E le difficoltà?

«Mi sono reso conto che il pediatra deve mettere ogni giorno qualcosa in più nel suo lavoro, sennò rischia di diventare una routine. Spesso noi pediatri ci troviamo di fronte a situazioni di difficile gestione, per questo è importante la formazione continua».

A cosa si dedicherà, ora che è in pensione?

«Andrò ancora in missione con Medici con l'Africa Cuamm, di cui sono il referente del gruppo trentino. Ho prestato servizio in Tanzania, Angola, Etiopia e Mozambico e continuerò a farlo. Quando torno a casa mi rendo testimone di quello che ho fatto e visto: cerco di dare un immagine positiva dell'Africa, un continente dimenticato, con risorse e vitalità che non vengono mai evidenziate. Mi occuperò ancora di bambini, anche se in altri contesti. Più in generale, continuerò ad occuparmi di tutte le persone che hanno bisogno di aiuto».

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