Guerra / Solidarietà

Pergine, una giornata di gioia con i profughi ucraini insieme agli alpini

A San Vito la comunità locale e le penne nere hanno voluto unirsi, per le celebrazioni pasquali, al prete ortodosso don Pavlo e agli altri 75 ucraini fuggiti dalla guerra. La testimonianza del pope: «Mi passavano i missili e le bombe sopra il tetto e tremava tutto. I vetri delle finestre tremavano, ad ogni passaggio»

di Luigi Oss Papot

PERGINE. «Speriamo torni la pace, invochiamo la pace, chiediamo al nostro unico Dio che possa tornare la pace".

Al centro sempre una sola parola, "pace": così don Pavlo, il pope (prete ortodosso) ospite a Castagnè San Vito assieme ad altri 75 ucraini fuggiti dalla guerra, ha voluto celebrare la Pasqua ortodossa per questa piccola comunità ospitata nella struttura dell'ex San Patrignano. Una comunità che ieri, per quest'occasione, si è unita alla comunità residente, quella ospitante, grazie all'iniziativa del locale gruppo alpini: una giornata all'insegna della fratellanza e della condivisione.

Non importa la difficoltà di comunicazione, non importa se possono esserci delle tradizioni differenti: l'importante è che invece che muri vengano costruiti ponti di accoglienza. E così è stato.Don Pavlo, alle 8 di mattina, ha celebrato la messa per la Pasqua ortodossa nella chiesa parrocchiale di Castagnè San Vito: una funzione molto lunga, quasi 3 ore, come vuole la tradizione ortodossa, che segue dei giorni di digiuno quasi ferreo e preghiera intensa per la Settimana Santa. Una Pasqua in cui la risurrezione, quest'anno, è più attesa che mai. A causa delle cattive condizioni meteo, la comunità si è poi riunita direttamente dentro l'ex San Patrignano: qui gli alpini hanno preparato il pranzo per tutti, ucraini e residenti in paese.

Presenti anche rappresentanti dell'amministrazione comunale (in particolare l'assessore Elisa Bortolamedi), oltre che al parroco don Antonio Brugnara, per condividere questo momento di festa. È bastato poco perché le barriere crollassero definitivamente, in un magnifico esempio di integrazione, nella semplicità più assoluta: un piatto di polenta e carne, dei giochi per i tanti bambini, delle grandi uova di cioccolato. E finalmente sono tornati a sbocciare dei sorrisi anche su quei volti segnati da tanta preoccupazione per i familiari rimasti in Ucraina, per i mariti a combattere, per quanti non se la sono sentita di fuggire e sono rimasti sotto le bombe.

L'immagine che meglio racchiude il senso di questa iniziativa voluta dalla comunità e dal gruppo alpini è quella di una penna nera, un nonno magari come tanti, seduto per terra assieme a dei bambini per giocare, per aiutarli nel costruire la sorpresa che hanno trovato nelle uova regalate loro. Uno sguardo ed una carezza, non serve altro.Dopo il pranzo, se eventualmente fosse servita un'altra dimostrazione della riuscita dell'integrazione, hanno preso avvio i canti: dapprima l'inno ucraino, cantato a squarciagola dai rifugiati; poi l'inno italiano, in risposta; poi ancora un canto tipico ucraino, a cui è stato contrapposto l'inno al Trentino. E via così, in un botta e risposta tipico delle feste alpine che invece ha coinvolto tutti.

Poi qualche raggio di sole ha consentito di servire i dolci in giardino, per concludere al meglio l'incontro fra le due comunità, che ha regalato qualche ora di distrazione e svago agli ospiti.Ma nonostante tutto, il pensiero fra quanti ora sono salvi in Trentino rimane sempre ovviamente alla martoriata Ucraina: ci sono alcune persone provenienti da Mariupol, la città sotto assedio, che narrano quelli che sembrano copioni di film dell'orrore, con persone costrette a rifugiarsi nei bunker ed a farsi largo fra i cadaveri, coi quali si deve condividere lo spazio per tanto, troppo tempo.

E poi c'è don Pavlo, che non riesce a trattenere le lacrime raccontando della sua casa, della sua famiglia (moglie e 4 bambini) ospite con lui a San Vito: «Mi passavano i missili e le bombe sopra il tetto -racconta- e tremava tutto. I vetri delle finestre tremavano, ad ogni passaggio. Quando suonava la sirena per allarmare dei possibili attacchi bisognava prendere di corsa i piccoli e rifugiarsi in cantina, al freddo, magari in pigiama, aspettando il cessato pericolo. Preghiamo Dio perché torni la pace. Spero che possano andare in paradiso anche i caduti in questo conflitto, perché stanno difendendo la nostra patria».

Scriveva Cartesio che «chi vede come noi uomini siamo fatti e pensa che la guerra è bella o che valga più della pace è storpio di mente»: una frase di quattro secoli fa, ma universale. Come il dono della pace.

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