Salute / Il caso

La titolare ha la polmonite, il bar chiude, dilagano le false voci e lei mette il cartello «non ho il Covid»

Fiera di Primiero in subbuglio per la improvvisa serrata del «Do ciacole», Cristina sorride alle «male lingue» ed è costretta a iscriverlo grande e grosso sulla porta

di Manuela Crepaz

FIERA DI PRIMIERO. Ha destato non poco scalpore nel piccolo centro di Fiera di Primiero il cartello sulla porta del bar “2 Ciacole” che recita: «Ci scusiamo per il poco preavviso, ma causa piccola polmonite di Cristina (NO COVID) abbiamo deciso di tenere chiuso fino al 21 settembre per decorso malattia onde evitare chiacchiere inutili».

Il cartello è indubbiamente chiaro, ma il «no covid» in stampatello e sottolineato, è comprovato dall’esito negativo del tampone, esposto anch’esso in bella vista. Ride amaro Cristina che con Christian gestisce il frequentato bar: «Quello è per le male lingue, ben sapendo che avrebbe scatenato un vespaio. L’avviso invece è per tranquillizzare i nostri clienti. Li conosciamo quasi tutti, ma non potevamo avvisarli tutti. Sabato e domenica non stavo bene, pertanto ho voluto rassicurarli che non ero malata di Covid».

Alla domanda se sia sorpresa del clima di sospetto che si respira in quel di Fiera, risponde candidamente di no. «Ne sono consapevole, si respira un clima veramente pesante, e mi sono detta: “Meglio essere subito chiari”. Per questo ho scritto il cartello esponendo non solo l’esito negativo del tampone, ma pure il referto dello pneumologo rilasciato domenica al pronto soccorso. Sto già meglio e pensavo di tenere chiuso solo un paio di giorni, ma il medico mi ha consigliato di prendermi un periodo di riposo per evitare ricadute. La chiusura capita in concomitanza con la settimana del Rally, impensabile pertanto chiudere. Ti immagini le chiacchiere se non fossi stata chiara? C’è chi l’ha presa sul ridere, chi sull’ironico, chi ha capito le motivazioni, ma ho ricevuto anche forti critiche».

Quel che fa pensare è che dopo due anni di pandemia, ammalarsi di Covid è visto ancora come una colpa e la “caccia all’untore” continua imperterrita.

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