Istruzione / Persone

La vittoria di Jean Sylvert: diploma all’Enaip, più forte della disabilità (e con un progetto pensato per i non udenti come lui)

La storia di un ragazzo sordomuto, dei suoi insegnanti e degli esperti che l’hanno aiutato con il linguaggio dei segni: «In due anni operatore elettrico, in altri due anche termoidraulico»

di Tommaso Ropelato

BORGO VALSUGANA. Alcune storie ci ricordano il ruolo che la scuola può avere nel rimuovere alcuni ostacoli e barriere. Storie come quella di Jean Sylvert Boizi, ragazzo sordomuto che ha appena completato con grande successo il ciclo di formazione presso il Centro Enaip di Borgo .

«Quello di Jean Sylvert è stato un percorso eccezionale - racconta Stefano Pinzi, vicedirettore e referente dell'area Bes (Bisogni educativi speciali) del Centro di formazione professionale - Si è iscritto nel 2015, e nell'anno scolastico 2017-18 aveva già conseguito la sua prima qualifica come operatore elettrico, realizzando in autonomia un impianto con sistema di chiamata e componenti ottiche appositamente pensato per non udenti. E dopo un anno di consolidamento ha ottenuto anche una seconda qualifica professionale come operatore di impianti termo idraulici».

Nel corso dell'ultimo anno Jean Sylvert, la sua educatrice e i suoi insegnanti hanno impostato un percorso differenziato rispetto a quello dei suoi compagni, maggiormente rivolto al conseguimento di alcune competenze utili all'inserimento professionale.

Jean Sylvert, il ragazzo sordomuto diplomato

In particolare, lavorando sul linguaggio dei segni, hanno costruito un vocabolario che permettesse a Jean Sylvert di muoversi all'interno di un contesto comunicativo specifico e tecnico. «Il nostro Centro, negli anni, ha maturato una notevole esperienza nella formazione degli allievi con bisogni educativi speciali - prosegue Pinzi - A volte capita che, a causa di pregiudizi o timori, si imposti un percorso dalle aspettative inferiori rispetto alle capacità di uno studente. Ma grazie alla collaborazione di tutti, con Jean Sylvert abbiamo sempre puntato al massimo, passo dopo passo, in un percorso che ha affrontato in maniera estremamente propositiva. Ad esempio, durante il lungo stage che ha fatto presso l'azienda Holländer, è stato il primo a chiederci di lavorare ed organizzarsi in autonomia».

Il vicedirettore sottolinea in particolare come il percorso fatto insieme a Jean Sylvert sia stato un arricchimento per l'intera comunità scolastica, soprattutto per insegnanti e compagni. «Ci ha insegnato lui, per primo, molti importanti valori della vita». «Sono molto orgoglioso del suo percorso - racconta Jean Marie Boizi, padre di Jean Sylvert - Abbiamo riflettuto molto, non è stata una scelta facile né immediata. Il primo periodo è stato il più complicato, non conoscevo nemmeno le cose che Jean Sylvert stava studiando. Ben presto però mio figlio ha trovato un'energia che mi ha sorpreso. Certamente il merito va anche allo splendido ambiente scolastico, agli insegnanti e ai compagni di Jean Sylvert. Lì si è sempre sentito come a casa».

Fondamentale è stato poi il lavoro di Francesca Nardin e di Emiliana Catena, educatrici della Cooperativa Abc Irifor. «Dal 2003 - racconta Nardin - grazie al progetto che portiamo avanti assieme alla Provincia di Trento, la nostra Cooperativa si occupa anche di assistenza scolastica per studenti con disabilità sensoriale e in generale con bisogni educativi speciali. Il nostro obiettivo è la reale inclusione sia scolastica che sociale».

Ferdinando Ceccato, direttore Abc Irifor del Trentino, spiega come grazie alla rete che viene a crearsi fra la loro Cooperativa, le famiglie e le scuole, si possano costruire percorsi formativi personalizzati e attenti ai bisogni dei diversi studenti. «Quella di Jean Sylvert è una splendida storia di successo umano e di un sistema che funziona - sottolinea - Affiancare con competenze specifiche gli alunni con disabilità sensoriale offre loro strumenti adatti a raggiungere il massimo livello di autonomia possibile. Certamente senza la forza di Jean Sylvert, e degli altri ragazzi che seguiamo, non ci sarebbero queste storie da raccontare».

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