Niente stagione, dal rifugio sulle piste della Tognola 200 fusti di birra in volo con l'elicottero

I 200 fusti per l'inverno prelevati dalla "Malghetta" con l'elicottero

di Manuela Crepaz

SAN MARTINO DI CASTRZZA - I 200 fusti pieni di birra che hanno preso il volo sopra i cieli della Tognola l'altro giorno sono stati un pugno nello stomaco, emblema della sconfitta di tutti gli operatori della montagna che in questi giorni sono stati costretti a gettare la spugna per lo stop ufficiale all'apertura degli impianti sciistici. Ad inizio novembre, come la maggior parte dei rifugisti in quota, Luigi Zortea, gestore della "Malghetta" sullo snodo delle piste da sci del Carosello delle Malghe in Tognola, aveva fatto il carico di bevande per l'apertura invernale.

Doveva bastare per arrivare a fine gennaio prima di un secondo rifornimento. Lucio prevedeva, come i colleghi, che gli impianti aprissero a Natale, anzi no, dopo, anzi no, il 17 febbraio. Un succedersi di date che, benché incerte, davano quello stimolo a sperare di cominciare una stagione con i fiocchi, breve, ma intensa, visto le condizioni nevose eccellenti. Ma l'aspetta e spera ha avuto la conferma della fine della stagione prima ancora di cominciarla.

E i fusti di birra, che per fine gennaio dovevano essere vuoti, erano ancora pieni, con la data di scadenza a fine febbraio.Così, oltre al danno, la beffa e come per lui, per una montagna di operatori turistici. Mal comune mezzo gaudio questa volta non consola, e tutti sulla stessa barca non ci si salva.Se ne sono andati in volo 30 mila euro di birra, più il costo dell'elicottero, 22 euro al minuto più iva, prezzo "tra amici". L'agonia delle ali rotanti è continuata per un'ora abbondante, con un via vai di barilotti pieni una quindicina per volta a penzoloni trasportati a valle con il verricello come sacchi salma appesi al pianale dell'elicottero. Un'ora in cui fare considerazioni amare: «Con tutto il rispetto per gli ambientalisti, la montagna vive con gli impianti a fune. Sono stufo di leggere che lo sci non è fondamentale. Se non viene praticato, a livello fisico non muore nessuno, ma a livello lavorativo muore tutto. In montagna la stagione lunga non è l'estate, in cui si lavora trenta giorni, condizioni meteo permettendo. È l'inverno da fine novembre a metà aprile che costituisce il 90% dei flussi e di durata». La birra è solo la punta dell'iceberg: «Stima al ribasso, oltre ai costi con dicembre, perdita di fatturato di oltre 250 mila euro. Inoltre, la mia piccola attività dà lavoro a tre cuochi, un lavapiatti e una decina di persone nell'indotto, tutte persone della valle e tutte che da settembre non lavorano. Hanno beneficiato della disoccupazione due mesi e poi basta, non hanno visto più un euro».

E il peggio non è alle spalle: «Il problema non è l'immediato, ma sarà dalla primavera in poi, con la caduta a catena del sistema, che non avrà risorse per gli investimenti attesi e promessi in cui sono riposte le speranze di ripresa della Valle. Noi gente di montagna siamo tenaci ed abituati a non mollare, ma abbiamo bisogno di certezze da parte della politica e delle istituzioni, che ci devono essere vicine con fatti e non parole. A livello locale, il sindaco si è comportato da galantuomo, la malga è comunale e mi ha scalato i mesi di affitto. E se l'amministrazione è stata sensibile con me, lo è sicuramente anche con altri e su altri fronti: confido che anche la politica provinciale ne segua l'esempio, nutro dubbi su quella nazionale».

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