Primiero, don Giuseppe Da Pra: dal prete in prima linea, un messaggio di speranza

di Andrea Orsolin

PRIMIERO - La vita del sacerdote, di questi tempi, è piena di impegni. Non che prima non ce ne fossero, solo che la pandemia e il conseguente aumento del distacco dei fedeli dalla chiesa (inteso come luogo fisico) ha forse messo i parroci in un ruolo ancora più centrale all’interno delle loro comunità. I luoghi di preghiera sono sempre più le abitazioni private, le case di riposo e purtroppo anche i cimiteri, tutti posti in cui i sacerdoti trascorrono ora gran parte del loro tempo per dare conforto e speranza, tastando con mano dolore e sofferenze.
Tra un funerale e l’altro (quanti, quelli delle ultime settimane…) abbiamo avuto modo di incontrare don Giuseppe Da Pra, parroco delle parrocchie di Soprapieve, che ci ha raccontato la situazione dal suo punto di vista.

Don Giuseppe, come stanno i primierotti?

Ogni fascia di età ha i suoi problemi ma anche le sue speranze. Ci sono gli ammalati, gli anziani e coloro che sono nelle case di riposo: da ormai un anno non ci possiamo avvicinare a loro, è molto dura. Almeno è ripresa la possibilità di incontrarli, anche se solo attraverso un vetro. Da poco sono rientrato alla Rsa di “San Giuseppe” dove ho potuto celebrare la messa, un segno di speranza dentro un lento ritorno verso la normalità.

E dei giovani, cosa ci dice?

I nostri ragazzi non vanno dimenticati, la fascia giovanile è una di quelle che risente di più di questa situazione. Non vedo più giovani in giro, non possono più stare insieme e trovarsi in occasione di attività come lo sport o la musica. Per fortuna la scuola tiene botta, ma non poter incontrare i ragazzi in oratorio per le varie attività e non sentire le loro voci che si rincorrono tra le vie dei paesi ha il sapore amaro di una ferita ancora aperta.

Nell’ultimo anno anche la valle di Primiero ha dovuto pagare un duro conto a livello di decessi.

Le morti sono state tante, ho celebrato anche più funerali in un giorno. Non poter accompagnare i propri cari verso l’ultimo tratto della vita lascia nei familiari e nella comunità una profonda lacerazione dei cuori, la quale somma sofferenza a sofferenza.

Capitolo economia e lavoro: il Primiero, fortemente legato al turismo, è in difficoltà?

Grosse situazioni di disagio in questo momento mi sembra non emergano. Mi sono chiesto il motivo: credo che dipenda dal fatto che ci stiamo dando tanto una mano gli uni con gli altri. Il momento critico deve però ancora arrivare. Nelle prossime settimane, se non partirà la stagione turistica, emergeranno inevitabilmente tanti problemi. Ci sono molte persone che lavorano come stagionali e che attualmente sono senza un’occupazione.

Come sono attive le parrocchie in questo momento?

Siamo in continuo contatto con i servizi sociali della Comunità di Valle e con le Acli per monitorare insieme le situazioni di difficoltà. Durante il periodo natalizio c’è stato un incremento delle richieste d’aiuto. Grazie ai pacchi viveri forniti dal Lions Club e dalla Cassa Rurale, assieme a don Nicola abbiamo potuto aiutare famiglie che stavano attraversando un momento delicato.

E la Chiesa come sta?

Dopo lo smarrimento iniziale, che inevitabilmente ha segnato anche la partecipazione alle celebrazioni eucaristiche, notiamo con gioia il graduale ritorno delle famiglie alla santa Messa domenicale. Stiamo vivendo un altro modo di fare vita pastorale: non incontri di programmazione, ma più prossimità alle famiglie in questo momento di affaticamento. Come sacerdoti, molto spesso, siamo interpellati nell’ascolto, che si fa accoglienza ed incoraggiamento nella preghiera.

Un messaggio di speranza per il futuro?

Che da questo momento di sofferenza e di dolore possa sorgere per il Primiero un coraggio nuovo, dove ciascuno possa diventare ristoro per gli altri, in una prospettiva diversa per ricostruire la nostra comunità, camminando insieme e coesi. È il tempo dell’essenzialità e non delle recriminazioni. Non è più possibile stare a guardare, ciascuno è chiamato a mettersi in gioco. Questo lo dico pensando innanzitutto a coloro che, a causa della pandemia, hanno conosciuto il dolore per la perdita improvvisa dei loro cari, senza la possibilità di stringere loro la mano. E per i tanti che, toccati dal virus, hanno dovuto ridisegnare sogni e speranze.

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