Boscaiolo morto in Primiero: fu spostato il cadavere, a processo il titolare per omicidio colposo

Stava lavorando all’allestimento di una teleferica boschiva nei boschi di Sagron Mis e si trovava in prossimità dell’ancoraggio, quando il cavo d’acciaio si è spezzato.
Un colpo che - il 19 novembre 2018 - non aveva lasciato scampo a Vitali Mardari, 28 anni, moldavo residente nel bellunese: il giovane, sbalzato una ventina di metri più a valle, era deceduto per il gravissimo trauma cranico. Una ricostruzione emersa dopo serrate indagini dei carabinieri, che avevano portato alla luce una “verità” diversa da quella iniziale: il giovane non sarebbe morto colpito da un tronco e il suo corpo (questa almeno l’ipotesi degli inquirenti) venne spostato.
L’infortunio mortale era successo nei boschi del Primiero e per quella morte ora la procura di Trento ha chiesto il rinvio a giudizio del titolare della ditta per la quale lavorava il giovane, R.S. 42 anni, residente nel bellunese: per lui l’accusa è di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Secondo l’accusa - sostenuta dal pm Giovanni Benelli - il giovane lavorava occasionalmente per l’imprenditore “in nero”. Anche la mattina dell’incidente mortale il 28enne sarebbe stato insieme all’imprenditore in località Val delle Moneghe. Ma su quanto successe quel giorno ci sono due versioni del tutto diverse. Secondo la ricostruzione dei carabinieri la scena dell’infortunio sarebbe stata modificata e il corpo del giovane spostato di circa 600 metri: una circostanza che, però, nella richiesta di rinvio a giudizio non viene contestata all’imprenditore (già in fase di chiusura di indagini l’accusa di frode processuale era caduta).
Ad allertare i soccorsi fu l’indagato: quest’ultimo chiamò una guardia forestale dicendo di essersi imbattuto nel corpo del giovane, persona che però avrebbe detto di non conoscere. Una spiegazione che aveva insospettito i carabinieri, ma soprattutto la sorella della vittima, Ludmila Mardari, che aveva subito indicato ai militari che il fratello si era messo d’accordo con l’imputato il giorno prima per partire da Agordo e recarsi a Trento a lavorare in Primiero.

La squadra investigazioni scientifiche del Reparto operativo - Nucleo investigativo del Comando provinciale di Trento, chiamata sul luogo dell’incidente per coadiuvare i colleghi del Primiero, aveva trovato anche un berretto dalla vittima presso il cantiere e gli investigatori avevano inoltre individuato all’interno del cantiere boschivo, sul presunto punto di impatto tra il cavo e l’operaio, delle tracce ematiche. C’erano poi le ferite, che non risultavano compatibili con l’ambiente in cui era stato trovato il corpo.
L’imprenditore, per parte sua, ha sempre respinto le accuse. La difesa, in particolare, a chiusura delle indagini, aveva depositato una memoria in cui spiegava che Mardari era lì come dipendente di un’altra ditta, con cui stava collaborando, ma non sapeva che quel giorno il giovane sarebbe andato a lavorare.
Per la procura, però, la morte di Vitali sarebbe stata causata proprio dalla condotta del 42enne: secondo il pm l’imprenditore, impegnato al momento dell’incidente nelle operazioni per allestire una linea teleferica con altri due operai “in nero”, sarebbe stato a bordo di un escavatore e tendeva il cavo metallico, mentre Vitali era in prossimità dell’ancoraggio, a monte. Proprio durante queste manovre il cavo si sarebbe spezzato, colpendo l’ operaio. Una rottura che, per l’accusa, sarebbe stata provocata da una valutazione errata delle forze in gioco. Ma a determinare il terribile epilogo sarebbero state anche le violazioni delle norme di sicurezza sul lavoro. Molteplici sono i profili contestati: non avere dotato la vittima di casco e indumenti tecnici, non avere formato adeguatamente il lavoratore e lasciato che avesse accesso anche a zone pericolose del cantiere, dove non avrebbe dovuto trovarsi. Adesso la palla passa al giudice per l’udienza preliminare.

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