Biogas, ciminiera a Levico La gente è preoccupata

di Valentina Fruet

Era gremita la sala del consiglio, venerdì sera, per l’incontro sul funzionamento degli impianti a biogas organizzato dal comitato Respiro di Valsugana. Il sentore della possibile realizzazione di un impianto per la produzione di biogas da liquami degli animali di allevamento ha fatto parecchio rumore, con una lettera ai cittadini della zona da parte del Comitato stesso, un’interrogazione in consiglio comunale e alcune inviate al consiglio provinciale, da parte di partiti diversi.

Il comitato, dopo la lunga ed estenuante battaglia per far chiudere nel 2009 il «Puzzificio» di Campiello, ha pensato bene di prevenire altre complicazioni simili in zona e sensibilizzare la popolazione ancora prima che si presenti la possibilità concreta di realizzare un impianto per la produzione di biogas sul territorio del Comune di Levico.

Presenti alla serata con il tecnico dell’ambiente Franco Giacomin moltissimi cittadini e anche il sindaco di Levico Michele Sartori, che ha specificato a inizio serata che il Comune ha preso un impegno per «la realizzazione di uno studio di fattibilità, cioè non la decisione di creare un impianto di produzione di biogas ma la possibilità di valutarne eventuali benefici; questa è stata inserita nel Paes del 2015 e all’inizio di quest’anno nel Dup, entrambi approvati dal Consiglio comunale».

Dopo lo studio di fattibilità, che secondo quanto detto da Sartori non vincola alla costruzione ma sarà fatto per dare alla giunta la possibilità di valutare l’impatto ambientale e la produzione di energia pulita, «in primo luogo organizzeremo un incontro con la popolazione, dati alla mano, con pro e contro».

Gli impianti di energia elettrica e termica che utilizzano i reflui zootecnici sono realizzati per far fronte al problema dello smaltimento del materiale derivato dall’allevamento, ha spiegato Giacomin, aggiungendo che «tuttavia, se non ci fossero i contributi pubblici, non sarebbero così diffusi: l’Unione Europea, pur continuando a incentivarli, pone anche dei vincoli sulla realizzazione».

Si tratta quindi di un sistema per produrre energia rinnovabile e pulita, ma che ha la sua carica inquinante e rilascia nell’atmosfera anche zolfo, ossidi di azoto e sostanze odorose: «per questo motivo gli impianti dovrebbero essere confinati nelle zone rurali». Giacomin ha spiegato anche che non tutti i reflui hanno la stessa potenzialità di produzione di energia e il digestore, una volta in funzione, può lavorare anche miscele di materiali diversi: rifiuti organici urbani, scarti organici industriali e fanghi di depurazione.

Obiettivo principale del comitato è stato dimostrare ai cittadini e all’amministrazione che «Respiro di Valsugana c’è e se si optasse per la costruzione di questo nuovo impianto, farlo sarà difficile», ha detto Renzo Grosselli, portavoce del Comitato e moderatore della serata.

È sotto gli occhi di tutti, ambientalisti e non, che la Valsugana si presenta come una zona scissa in due realtà: quella turistica, con Levico e Caldonazzo e i rispettivi laghi Bandiera Blu (confermata ieri) che rappresentano il fiore all’occhiello del settore terziario; e quella industriale e di viabilità: la valle è uno snodo cruciale per le infrastrutture, con la discussa SS47 ad attraversarla, e sede di numerose industrie.
Il bio-digestore inevitabilmente rappresenta un’altra possibile fonte inquinante che, sommata alle esistenti, cosituirebbe un passo in più verso lo sviluppo industriale e un passo indietro verso il turismo.

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