Il monumento ai Caduti di Vezzano ha trovato un nuovo spazio

Una stele marmorea cinerea eretta di sbieco, il tricolore italiano garrito al vento e una corona d’alloro sovrastante la cornice del basamento lapideo. L’epigrafe in bassorilievo «Vezzano ai suoi caduti».
Il dovere di commemorare i caduti di tutte le guerre - quelle di ieri e, purtroppo, quelle di oggi - affinché nessun conflitto bellico abbia a ripetersi non solo alle nostre latitudini bensì ai quattro angoli del globo. Domenica scorsa ha rappresentato per Vezzano, analogamente alle cerimonie per il centenario della fine della Grande Guerra tenute in altre località dello Stivale, il riconoscimento della comunità ai suoi valorosi caduti. Vezzano e le sue sei storiche frazioni ne contano ottantadue, ognuno dei quali trova impresso il proprio nome su lucenti targhe conficcate alla base del monumento funebre loro dedicato, appena ricollocato in un contesto urbano più giusto e più umano a margine di piazza Perli a due passi dall’ingresso della biblioteca comunale e degnamente riqualificato come si conviene a un luogo della memoria nonché simbolo del comune senso d’appartenenza.
Lavori della consistenza di 25 mila euro affidati in economia diretta e messi a segno a fronte della realizzazione del nuovo parcheggio pubblico antistante il palazzo municipale.
A officiare il rito religioso, don Cristiano Bettega: «Impegniamoci a essere sempre costruttori di pace e chiediamo perdono per il male di cui l’uomo è responsabile» ha scandito il parroco. Pace, quale bene da salvaguardare e tensione cui proiettarsi, che dipende dall’agire di tutti e di ognuno a partire dal linguaggio del cuore e del dialogo, forte al punto da prevalere su quello dolente delle armi. «Siamo qui per rinnovare il nostro ricordo commosso ai nostri caduti e per riflettere sul signficato della guerra», le parole introduttive del sindaco Gianni Bressan nell’anticipare il pensiero dell’assessora Verena Depaoli costruito intorno alla ferma convinzione che «le guerre non portano mai la pace» prendendo spunto dai capoversi di «Uomo del mio tempo» vergati da Salvatore Quasimodo e letti a voce alta.

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