Le alghe al lago di Terlago possono essere limitate

I «teloni» posizionati sul fondo del lago per frenare la crescita di alghe funzionano. Ma funzionano per un anno solo, e andrebbero sostituiti ad ogni stagione. È questa una prima consluzione della campagna di studio sulla proliferazione delle macrofite nelle acque lacuali. Considerazioni che arrivano da Raffaella Canepel, dirigente dell’Appa per il Settore tutela dell’ambiente.
La sperimentazione avviata nella primavera dell’anno scorso ha comportato la stesura da parte del Servizio antincendi e Protezione civile di cinque rotoli di juta da 20 metri quadrati l’uno. Circa i punti del bacino meridionale da rivestire, la scelta è caduta sui tratti colonizzati dalla vegetazione acquatica filamentosa  verso le sponde: da un primo sopralluogo compiuto all’apertura della stagione balneare per valutare lo stato di conservazione della fibra tessile e la sua effettiva efficienza, è emerso un livello di bassa sedimentazione algale, la formazione di bolle gassose sottostanti i teli e la colorazione del sedimento similare a quello circostante. Soltanto in un’area ben circoscritta sono affiorate piante della specie Najas marina, Myriophyllum spicatum e Potamogeton pectinatus. 
In generale, dunque, i teli hanno retto bene fino ad alcuni mesi addietro fungendo da «ottima barriera alla crescita delle piante acquatiche», comunica la funzionaria provinciale citando «zone di fondale esterne ai teli colonizzate dal 50 al 100% dalle macrofite poi sfalciate e rimosse». 
Tutt’altra musica all’inizio di questo mese. «Tre teli di juta sono risultati molto danneggiati al punto che si disintegravano al tatto, gli altri due invece erano ancora intatti ma poco consistenti» aggiunge. I teli deteriorati sono apparsi occultati dai sedimenti nonostante la zona interessata dalla loro copertura fosse sgombra da macrofite, cinque varietà assai prolifiche in corrispondenza delle superfici scoperte. 
«Il diverso stato di conservazione dei teli è dovuto a nostro parere alla diversa intensità di calpestamento dei bagnanti. Probabilmente i teli non rotti, trovandosi in un’area meno frequentata, hanno resistito maggiormente degli altri, sottoposti oltre che al naturale processo di degradazione anche ad un’azione di danneggiamento meccanico», l’ipotesi che si sta facendo strada. Soddisfazione è stata comunque espressa per aver «raggiunto l’obiettivo prefissato», cioé il  contenimento dell’invasività algale, essendo che le zone sottoposte a sperimentazione - in conformità all’Accordo di programma per la gestione unitaria delle aree protette – mostravano il meglio di sé, libere e pulite. 
Nota dolente, la poca resistenza all’usura dello juta in ambiente umido che, stando alle osservazioni, può stimarsi in mezzo anno circa: «Se si decidesse di usare questo sistema nei prossimi anni - avverte Canepel - occorre tenere presente che i teli andranno riposizionati ogni anno». 
Frattanto il Consorzio Bim dell’Adige ha stanziato un finanziamento 30 mila per portare avanti uno studio sulla proliferazione in atto.

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