Disagio / Giovani

L’appello dell’educatore Fabiano Lorandi: “Possiamo e dobbiamo recuperare i piccoli criminali»

Il fondatore dell’Ubalda Girella: “Quella roveretana è una società difficile e il disagio giovanile sta crescendo sempre di più. Le cifre sono più alte rispetto al resto d’Italia”

di Nicola Guarnieri

ROVERETO. Quella roveretana è una società difficile. Specie per il disagio giovanile che ha spinto il Comune a stanziare 700mila euro per un piano di «recupero» dei nostri ragazzi facendo leva sull'inclusione e la partecipazione. Anche perché la fotografia della realtà, come abbiamo riferito qualche giorno fa, è impietosa: il 2,3% dei minorenni ha avuto o sta passando guai con la giustizia.
«I piccoli criminali sono obiettivamente un problema - spiega Fabiano Lorandi, che da anni si occupa di disagio giovanile - e bisogna occuparsi con impegno di questo. Anche se non stiamo parlando di condanne ma di possibili reati commessi da minori e la denuncia non sempre si configura come un reato».
I numeri, però, sono più alti del resto d'Italia.
«É così. Se si guardano i dati dei minori denunciati a livello nazionale il Trentino, e Rovereto in particolare, ha un numero maggiore. La cosa risulta curiosa, soprattutto pensando che in qualche regione del Sud i minori sono utilizzati dalla criminalità utilizzata».
I nostri ragazzi sono più cattivi?
«No, vuol dire che a Rovereto c'è maggiore attenzione rispetto ai minori, più responsabilità dei genitori e più controllo da parte delle forze dell'ordine. Questa maggiore attenzione è un merito perché ci si preoccupa di più. C'è anche maggiore attenzione nel configurare una trasgressione che non necessariamente è un reato. Faccio un esempio: se vedi due ragazzini che stanno litigando, a Scampia di Napoli e allo Zen di Palermo non ci fanno caso mentre a Rovereto parte la denuncia».

Torniamo a quel 2,3% che, ammettiamolo, inquieta.
«Attenzione: nel 2020 i ragazzi tra 14 e 17 anni erano 1.145. Se i potenziali criminali sono il 2,3% (segnalati, arrestati o condannati) vuol dire 26 persone. Io credo che da questo punto di vista ci sia da fare una riflessione visto che parliamo di numeri minimali e facilmente controllabili. Anche perché, ripeto, noi vediamo delle cose che altrove vengono ignorate. C'è poi un'altra questione da affrontare: quando questi ragazzi entrano all'interno di percorsi che sono in carico alla procura dei minorenni partono procedure dei servizi sociali che prendono in considerazione la vita complessiva del ragazzino con il recupero di informazioni riguardo alla frequenza scolastica, al lavoro, alla frequentazione di realtà associative. In base a questo si stila un progetto di messa alla prova».
E qui entrano in gioco le associazioni del terzo settore.
«All'Ubalda Girella ne sono arrivati parecchi. Molti di questi ragazzi erano smarriti, spaesati ed è stata l'occasione per recuperarli e reinserirli a pieno titolo nella società».
Il dato sulla criminalità giovanile, in altre parole, è un campanellino d'allarme ma non tutto è perduto?
«Viviamo in un contesto che, per fortuna, dal punto di vista della criminalità minorile è molto presidiato sia dalle forze dell'ordine che dalla procura e dai soggetti del terzo settore. C'è grande attività di volontariato costruttivo. Anche se sono preoccupato: la riforma Cartabia elimina il tribunale dei minorenni che viene assorbito dalla giustizia ordinaria. Una scelta che non condivido. Per esperienza personale e rapporti con magistrati, forze dell'ordine ma anche con gli stessi ragazzi e le famiglie ritengo che sia criminale disperdere questi passaggi. C'è possibilità di crescita e recupero se si ascoltano ma passando per i tribunali ordinari c'è il rischio di perderli per sempre anziché reinserirli nella comunità».
La coprogettazione voluta dal Comune unendo pubblico e privato può servire? «In realtà c'è già uno storico, compresi i centri diurni per famiglie e una rete che ha capitale sociale educativo e culturale importante. É importante mescolare tutti per non creare dei ghetti».

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