Lavoro / La storia

Operaio disabile senza reddito né casa: licenziato nonostante la malattia e l’assegno d’invalidità non arriva

Viene dall’Est, vent'anni in Trentino e ora cittadino italiano. Lavoratore esemplare in un’azienda lagarina, poi per il diabete per un piede. Oggi è ospitato in una casa di riposo

di Francesco Terreri

ROVERETO. Lavora in un'azienda metalmeccanica della Vallagarina per quindici anni. Apprezzato come operaio e anche con un discreto stipendio. Prima ancora aveva lavorato qualche anno in Italia e una buona ventina d'anni, fin da ragazzo, nel suo Paese di origine, nell'Est europeo.

Nell'estate 2019 sta male, viene ricoverato in ospedale, gli trovano una forma grave di diabete, deve subire una parziale amputazione al piede. Non può più lavorare, alla fine del periodo massimo di malattia previsto dal contratto viene licenziato dall'azienda. Non può avere l'indennità di disoccupazione perché inabile al lavoro. Quindi chiede l'assegno di invalidità. A sette mesi dalla domanda, l'Inps non ha ancora risposto.

 

Così l'operaio disabile è senza reddito e, nel frattempo, ha perso pure la casa dove non poteva più pagare l'affitto. È ospitato provvisoriamente in casa di riposo, seguito dai servizi sociali. Con un futuro precario e incerto.

La vicenda è tutt'altro che isolata, dicono il segretario della Fiom Cgil Michele Guarda e l'avvocato Giovanni Guarini, che segue gli aspetti legali del caso. In seguito ad una malattia, infatti, i contratti di lavoro prevedono il cosiddetto periodo di comporto, il periodo cioè in cui si conserva il posto di lavoro. Nel caso dei metalmeccanici, considerando che l'operaio aveva più di sei anni di anzianità di servizio, il periodo di comporto è di un anno, prolungabile ad un anno e mezzo in alcuni casi. È uno dei contratti che tutela di più, ma non abbastanza quando la malattia è grave.

Alcune grandi aziende lagarine trovano soluzioni per mantenere più a lungo il posto, in modo da arrivare al riconoscimento dell'invalidità o alla pensione. Non è stato questo il caso.

«Sono in Italia dal 1997 e da una ventina d'anni in Trentino - racconta l'operaio - Da due anni ho la cittadinanza italiana. Nell'estate del 2019 mi ricoverano in ospedale e scoprono che ho il diabete mellito di secondo grado, mi devono anche amputare una parte del piede. Non potevo più lavorare, avevo paura che mi licenziassero, ho chiesto alla dottoressa del lavoro, ma mi ha detto di stare tranquillo».

«Invece il 31 marzo del 2021 è arrivato il licenziamento. Se mi avessero avvisato che avevo finito i giorni di malattia, sarei andato in fabbrica anche senza un piede per non perdere il posto di lavoro». Intanto il lavoratore aveva perso pure la casa dove viveva in affitto. Da solo perché, per colmo di sfortuna, anni addietro aveva perso prematuramente il figlio e poi si era separato dalla moglie. «Non riuscivo a pagare l'affitto. Quando sono tornato da un ricovero, il proprietario aveva cambiato la serratura e gettato via le mie cose».

«Per un po' mi sono arrangiato a casa di un amico» dice l'operaio. Intanto l'Inps gli comunica che non può avere l'indennità di disoccupazione perché inabile al lavoro. Il lavoratore ha 63 anni, avrebbe anche tanti anni di impiego ma non bastano per la pensione, anche perché non tutti quelli fatti nel Paese d'origine sono documentati. Allora fa domanda per l'assegno di invalidità con l'aiuto del sindacato.

La trafila burocratica si dimostra lunga. A più di sette mesi dalla richiesta, l'Inps non ha ancora risposto. «I servizi sociali mi hanno trovato un posto alla casa di riposo. Ma come faccio a vivere senza soldi?». È partito il ricorso contro l'azienda per poter riavere il posto di lavoro. Intanto l'operaio si sente trattato come un giocattolo rotto: «I miei compagni di lavoro mi hanno detto: non meritavi questo trattamento».

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