Grandine e disperazione in val di Gresta

Non c’è contadino che in questo momento non stia cercando di salvare quanto rimane degli ortaggi a foglia, colpiti e distrutti in gran parte dalla grandinata di sabato notte in Val di Gresta. Cavoli cappucci, biete, zucchine, cavolfiori, e tutto ciò in quel momento stava crescendo alla luce del sole. E mentre la grandinata faceva scomparire il lavoro di un anno, precipitazioni torrenziali mettevano in tilt il sistema della raccolta dell’acqua stradale, trasformando piazza Cal di Ponte di Mori in un lago.
 
«È ancora difficile calcolare i danni, ma non c’è quasi più nulla da fare. I contadini hanno perso quasi tutto, c’è invece speranza per le patate, le rape e il sedano che sono ancora sotto terra» spiega Vanda Rosà, presidente del Consorzio ortofrutticolo Val di Gresta , in campo fin da ieri con i contadini per riuscire a salvare il salvabile. «Non c’è contadino - continua la presidente - che non stia trattando con il rame, che consente, se va bene, di cicatrizzare le ferite delle piante».  
   
Il maltempo, partito dal monte Stivo, non ha risparmiato nessun paese della Val di Gresta, famosa per gli orti biologici. Da Nomesino, salvatosi solo in parte (sul lato di Lenzima), a Manzano, Valle San Felice e Ronzo, la grandine è scesa a sprazzi intervellati da decine di minuti di sola pioggia, arrivando a colpire anche Riva del Garda e Arco. Nessuno escluso, anche se i maggiori danni si sono registrati a Bordala. «Stavano arrivando le prime produzioni, ora avremo un bel buco da coprire sul pan di zucchero, biete, cavoli cappucci, cavolfiori - sottolinea la presidente del Consorzio Val di Gresta -. I contadini sono disperati».
 
In alcune zone della Valle l’80% del raccolto è stato distrutto, spiegano i contadini, visto che fine giugno è il periodo della maturazione per alcuni ortaggi. Ma anche se è ancora presto per parlare di assicurazioni e risarcimenti, l’effetto dei danni si sentirà più avanti, spiega ancora Rosà, che si è già mossa, incontrando l’assessore provinciale all’agricoltura, Michele Dallapiccola. Il tentativo è quello di ottenere lo stato di calamità per, come ha spiegato il consigliere provinciale Claudio Civettini, per mettere in salvo le fragili economie che sostengono l’agricoltura di montagna.
 
Il Biodistretto inizia a sud a una quota minima di 217 metri ma arriva fino ai 2 mila dello Stivo: entro questo perimetro, la superficie coltivata con il metodo biologico è di 423 ettari, 490 invece vengono sfruttati con metodologie tradizionali. Nelle intenzioni dei promotori, si vorrebbero convertire al bio anche 47 ettari di pascolo e 589 di bosco ceduo, oltre a 756 di bosco a fustaia.
 

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