Le stanze della storia nell'albergo di Freud

di Daniele Benfanti

La sua finestra è lì, al primo piano. All’angolo del bell’edificio liberty. Oggi è una junior suite. Stanza 115. Ma c’è in progetto di ridonarle l’atmosfera di un tempo, in pieno stile belle époque.

L’ospite illustre di quella stanza è stato, a più riprese tra il 1901 e il 1923 (fatta eccezione per gli anni della Grande Guerra) Sigmund Freud, il padre della psicanalisi. Una targa, voluta da Cesare Musatti (lo psicanalista che sviluppò la psicanalisi freudiana in Italia e che poi prese casa a Serrada) nel 1979, 40 anni dopo la scomparsa del grande maestro, lo ricorda proprio sulla facciata di quello che qui sugli altipiani tutti chiamano «l’albergo di Freud».

In realtà l’hotel si chiama «du Lac» e oggi è anche un «parc & residence» ed è affacciato sulla conca del lago di Lavarone, sul bivio che porta verso Gionghi da una parte e verso il Veneto dall’altra. Ma da quel 1901 ad oggi l’ospitalità in queste stanze, ora 34, è sempre stata impegno e orgoglio di una sola famiglia. I Bertoldi e loro «derivazioni», dato che l’hotel è stato a lungo tramandato in via femminile.

Ad accogliere gli ospiti e spiegare loro la storia di questa dimora che ha fatto la storia del turismo in Trentino, oggi è Andrea Gabrielli, da cinque anni titolare dell’albergo. «È stato il mio trisavolo Paolo Bertoldi – racconta – ad aprire questo albergo. Nel 1901. Poi è passato a mia bisnonna Anna Piccinini, a mia nonna, Benita Bertoldi in Tezzele, e ai miei genitori Alessandra Tezzele e Luciano Gabrielli. Come la storia turistica di Lavarone, anche quella dello storico hotel subì due battute d’arresto in corrispondenza delle due guerre mondiali.

«Durante la prima – prosegue Andrea Gabrielli – l’edificio divenne caserma per gli ufficiali. Non abbiamo prove certe, ma forse passò di qui anche qualche Asburgo. Nella Seconda guerra mondiale la struttura fu utilizzata dalla Marina militare tedesca, che portava qui, a mille metri e più di quota, chi era stato per tanti mesi in mare».

I soggiorni di Freud si protraevano per tutta la stagione estiva. Lo psicanalista e neurologo austriaco arrivava in Trentino con il treno, da est. Scendeva alla stazione di Caldonazzo e saliva non il Menador attuale (costruito per motivi bellici dagli austrungarici) ma la strada del Lancino, con pendenza media del 7%. «I suoi bagagli arrivavano anche un mese prima» aggiunge Gabrielli. Freud sull’altopiano passeggiava, si riposava, scriveva, rifletteva. Nel 1901 l’hotel era nuovo di zecca, dotato di moderni confort come l’acqua corrente fredda, fatta arrivare da una sorgente sul vicino Monte Rust tramite vasca di cemento, una condotta e un vascone sul tetto dell’albergo. Il ghiaccio tratto dal lago in inverno veniva conservato in una ghiacciaia con pareti di sughero per usi sanitari, domestici e alimentari. Nel 1936 venne aggiunta la sala da pranzo. Negli anni Ottanta le stanze erano 60, oggi sono poco più della metà, tutte più grandi. A inizio del secolo scorso non era infrequente che nobili e benestanti prendessero in affitto più stanze, anche per la servitù. Per questo erano collegate tra loro. Oggi negli spazi comuni dell’hotel non mancano pezzi d’arte e mobili d’epoca (come le sedie viennesi Thonet), fino agli anni Cinquanta (poltrone Lady dell’architetto Marco Zanuso), tra quadri, tavolini, divani, suppellettili, lampadari. Era anche abitudine che qualche ricco ospite pagasse il soggiorno con opere d’arte. «La nostra – sottolinea Gabrielli – è un’offerta di montagna liberty, se vogliamo. In origine la facciata era color giallo Asburgo. Puntiamo su questa atmosfera da mantenere. Una vacanza quasi in un museo da vivere».

Il ricordo di Freud e della psicanalisi, nelle sale dell’albergo, non è tramontato ma è tenuto vivo da almeno tre importanti congressi di psicoterapeuti e società nazionali e internazionali di psicoterapia che vi tengono i propri simposi una volta l’anno. L’hotel impiega una decina di dipendenti tra cucina, sala e piani, compresi Andrea e la moglie Maria Cristina, che si dividono tra amministrazione, accoglienza, personale e stanze. «Anche noi vediamo che non è facile trovare personale qualificato per questo settore»: obiettivo, tenere aperto dalla primavera al ponte dei Santi, «perché Lavarone, rispetto alla vicina Folgaria, ha nel turismo dolce, nei mesi estivi e nelle stagioni di mezzo il suo punto di forza. Abbiamo sia clienti italiani, anche nipoti di chi veniva qui un tempo, e di lingua tedesca, poi diretti verso il Veneto. Sarebbe bello venisse istituzionalizzato anche in Trentino, come avviene in Francia o Svizzera, un circuito di hotel e dimore d’epoca».

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