Ritrova titoli di Stato del nonno e per i buoni del Regno d'Italia va in causa con il ministero

di Barbara Goio

Quando l’anno scorso ha fatto ordine nella vecchia casa di famiglia, a Sasso di Nogaredo, Fulvio Galvagni, 67 anni, è rimasto molto stupito nel ritrovare dei titoli di Stato del Regno d’Italia di proprietà del nonno. Si trattava di cinque cartelle al portatore, di cui tre del valore di 100 lire l’una emesse nel 1934 ed altre due del valore di 100 lire l’una emesse nel 1937 che erano rimaste per quasi 80 anni dimenticate in un bauletto. Ora, insieme ad altri otto risparmiatori, Galvagni ha chiesto il rimborso e per questo a giugno prossimo le Poste Italiane ed il Ministero dell’Economia dovranno comparire davanti al Tribunale Civile di Roma: il valore totale della causa intentata dagli eredi dei 9 risparmiatori parla di titoli di Stato e buoni postali mai incassati per un totale di oltre 3 milioni di euro.

«Ci tengo subito a precisare - ammette Galvagni - che ho deciso di agire soltanto per rendere giustizia a mio nonno, ed indirettamente anche ai miei genitori. Mio nonno su quei soldi ci contava, ha fatto grandi sacrifici per poterli mettere a frutto, e aveva fiducia nello Stato. Bisogna ricordare che nel dopoguerra qui in Trentino erano tempi duri, di fame, e forse le cose per la mia famiglia sarebbero state diverse se solo mio padre avesse potuto accedere a quei risparmi. Non mi aspetto grandi rimborsi, anzi, non mi aspetto niente, ma sentivo l’obbligo morale di difendere l’operato del nonno».

Per raccontare questa storia bisogna andare indietro nel tempo: Giuseppe Galvagni, classe 1868, si era sposato tardi e aveva avuto 4 figli, un maschio e tre femmine. Tra il 1934 e il 1937 decide di pensare al futuro della sua famiglia mettendo da parte queste 500 lire. Ma nel 1940, già vedovo, muore e di questo denaro messo «al sicuro», il figlio Attilio, all’epoca diciottenne, e le tre sorelle non sanno nulla.

La vita continua, Attilio si sposa, ha sei figli e resta a vivere nella casa di Famiglia a Sasso. Quando però nel 2017 muore, e l’anno dopo se ne va anche la moglie Natalia, il figlio Fulvio insieme alla sorella Roberta, scoprono questi documenti. Si tratta di «prestiti redimibili», che il Ministero delle finanze in teoria dovrebbe rimborsare, compresi gli interessi e gli interessi degli interessi. «L’ultima cedola staccata - racconta Fulvio - è proprio del 1940, quando mio nonno è venuto a mancare. Mio padre non ha mai saputo di questi soldi che pure erano costati tanti sacrifici».

«Difficile dire il valore dei buoni in questione - spiega l’avvocato Biagioli - e proprio per questo è stato chiamato un consulente tecnico di ufficio». Per avere un’idea di cosa valessero 500 lire negli anni Trenta, «si può dire che con quel denaro si poteva comperare un terreno che oggi costerebbe sui 40mila euro - precisa Luigino Ingrosso, che si occupa della causa - ma per il rimborso le cose poi sono molto diverse».

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