Architettura / Il caso

Abbattimento della «nave» di Meano: l'architetto Salvotti si oppone, la Sovrintendenza anche, ma la giunta Fugatti autorizza

Braccio di ferro sulla bizzarra villa, abbandonata da anni ed oggi di proprietà di Raimonde Dreyer: il padrone ottiene «per silenzio assenso» la concessione edilizia per demolire ed ampliare, e da Piazza Dante arriva la sconfessione dei pareri della Sovrintendenza

MEANO. Per "L'Arca" il destino pare segnato: abbattimento. Per tirare su, al suo posto, nuovi alloggi ad uso residenziale. A meno che da Roma, da Ministero della cultura non arrivi il riconoscimento del valore storico architettonico e del diritto d'autore in capo al progettista, l'architetto Gian Leo Salvotti.

L'edificio in località strada del Dos di Lamar è oggi di proprietà di Raimonde Dreyer, inabitabile e disabitato da anni. Troppo ammalorata, "L'Arca" realizzata negli anni Settanta che si para davanti, come un transatlantico di cemento armato, con il suo fianco "navale" in cemento e il camino svettante, agli automobilisti in transito da e verso Meano.

Lo stato di degrado di cementi e ferri è evidente, altrettanto la percolatura di acqua piovana.

La vicenda è complicata assai. Ma la sostanza è che la proprietà, assistita dall'avvocato Giampiero Luongo, ha ottenuto soddisfazione. La giunta provinciale, infatti, nell'ultima seduta ha accolto il ricorso di Raimonde Dreyer, che nel frattempo, mentre era in corso la valutazione circa l'interesse culturale del bene architettonico, ha ottenuto dal Comune di Trento, per silenzio assenso, il titolo edilizio per la demolizione e ricostruzione dell'immobile, con relativo ampliamento volumetrico.

Nell'aprile 2021, l'architetto Salvotti, in qualità di progettista, aveva fatto pervenire alla Soprintendenza per i beni culturali della Provincia, la richiesta di riconoscimento dell'importante carattere artistico dell'opera sulla base delle legge del 1941 di "Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizi". È seguito un sopralluogo, in settembre, alla presenza della proprietà e del suo tecnico di fiducia, l'architetto Francesco Zambarda.

L'esito del procedimento ha portato, in marzo, alla dichiarazione, per "L'Arca", dell'«interesse culturale particolarmente importante». Allo stesso tempo, la Soprintendenza guidata da Franco Marzatico ha individuato l'area di rispetto allo scopo di preservare il contesto pertinenziale della villa e le vedute significative del complesso.

È contro questo provvedimento, di fatto un vincolo all'abbattimento dell'edificio, adottato dala Soprintendenza dopo avere acquisito il parere del Comitato beni culturali, che la proprietà, in aprile, ha presentato ricorso alla giunta provinciale. Il ricorso è stato valutato dallo stesso Comitato per i beni culturali, che si è pronunciato per il non accoglimento.

Parere che la giunta Fugatti ha ribaltato nell'ultima seduta, accogliendolo.

La proprietà, invero, aveva pure prefigurato un obbligo in capo all'amministrazione pubblica di acquisire il compendio immobiliare dichiarato di interesse culturale. Ma su questo la giunta è stata chiara: si tratta di una scelta di natura facoltativa e discrezionale.

La delicatezza e la complessità della vicenda sta nel fatto che manca una normativa chiara a tutela delle opere più meritevoli dell'architettura contemporanea. Ed in questo caso, rileva la giunta, «non opera il limite temporale dei 70 anni, né quello derivante dalla condizione "che siano opera di autore non più vivente". E la natura privatistica della tutela fornita dalla legge sul diritto di autore è oggetto di dibattito.

Scelta non facile, quindi: da una parte, la mancanza di parametri chiari a tutela di un'opera contemporanea; dall'altra, l'acclarato stato di degrado de "L'Arca", che ne rende «estremamente complesso il recupero conservativo e la funzionalità» (anche sotto il profilo dell'efficientamento energetico). E troppo onerosa sarebbe l'acquisizione pubblica. L'architetto ha donato al Mart la sua produzione: disegni, schizzi, plastici. Da qui la scelta della giunta di «salvaguardare la testimonianza della documentazione che attesta il processo creativo dell'ideazione di un oggetto assolutamente fuori dagli schemi, improntato ad una vena artistica visionaria» e allo stesso tempo di «mantenere integro il diritto di proprietà della ricorrente», riconoscendo che "L'Arca" non corrisponde più alle esigenze contemporanee dell'abitare.

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