Videoinchiesta / Le acque

L'incredibile storia delle rogge avvelenate dalla Sloi (e ancora inquinate): dal 2006 si aspetta il cantiere, intanto i veleni sono sotto la città – VIDEO

TRENTO. Sono passati sessant' anni e si torna a provare a ripulire le acque delle rogge di Trento nord. Vicenda davvero antica perché si deve risalire al 3 marzo del 1959 quando vennero consegnate al sindaco Nilo Piccoli 1007 firme per chiedere «di far cessare le esalazioni tossiche provenienti dalla zona industriale di Campotrentino» eruttate dalla Sloi e dalla Carbochimica e bloccare gli scarichi dei citati stabilimenti che versavano liquami tossici nelle acque del Fossa degli Armanelli destinati a confluire nel canale Lavisotto, «ammorbando l'aria in vaste zone cittadine e in particolare in quella nord». Come si legge nell'appello al Municipio rimasto inascoltato.

Solo quanti hanno i capelli molto bianchi ricordano l'Adigetto scorrere lento, verdastro e puzzolente attraverso i giardini di Piazza Dante là dove oggi c’è il lezioso laghetto delle paperelle. Trasportava verso l' Adige le acque avvelenate soprattutto dalla Sloi, la Società lavorazioni organiche-inorganiche aperta nel 1939 a Campotrentino fra via Maccani e la ferrovia, industria strategica nella guerra perché lavorando il piombo e il sodio produceva il piombo tetraetile, l'antidetonante per la benzina, fondamentale per i motori degli aerei. E quel prodotto tornò in auge sul finire degli anni Cinquanta del secolo scorso con il boom dell'economia che vide quasi all'improvviso, strade e città invase dalle automobili.

Era subito ripresa, con ritmi frenetici, la produzione di quel veleno potentissimo usato in massa perché additivo fondamentale della benzina; Campotrentino venne invaso da fumi di cloro e da altre micidiali esalazioni che spogliarono molte piante dalle foglie, uccisero i bachi da seta, conigli e galline facendo scomparire dalle zone vicine alle rogge uccellini e farfalle, causando strani e gravi malesseri fra gli abitanti di Cristo Re che nel febbraio del 1959 si ribellarono. Forse nel famoso bar Zinzorla di piazza Cantore cominciò quella raccolta di firme, la prima petizione collettiva che si ricordi a Trento poi consegnata al sindaco Piccoli.

Appunto in 1007 avevano detto basta al micidiale inquinamento che si espandeva dalla Sloi, ma anche dalla Carbochimica e dalla Prada nota per i suoi soffocanti «vapori» di naftalina che scatenavano allergie divenute, in molti casi, inguaribili.

Venne l'alluvione del 1966 che invase la Sloi già indicata come «fabbrica della morte» per il numero altissimo di operai deceduti. Riapparso il sole, venne rimessa rapidamente in sesto, inaugurata dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e quando nel Trentino tornò la normalità, un medico, il professor Giuseppe Barbareschi cominciò a studiare il problema dell' inquinamento sulla vita dei cittadini mentre la città riprese, ma inutilmente, a ribellarsi.

Ci fu un sussulto quando il periodico del Pptt pubblicò le fotografie di operai della Sloi muniti di maschere antigas, stivaloni e grossi guanti di gomma intenti a rimescolare con lunghe pertiche le acque degli Armanelli piene di quella fanghiglia tossica che giorno e notte ruscellava da uno scarico aperto nel muro di cinta dello stabilimento.

Nel vasto piazzale c'era una sorta di vascone nel quale venivano accatastati, per essere diluiti con getti d' acqua, i residui della pulizia dei «reattori», quei grossi barili dove si preparava il piombo tetraetile.

Gli operai vennero fotografati da Enrico Pruner, il leader del Pptt-Ue. La Sloi rimediò. Si tappò il buco nel muro ma si scavò nel piazzale dove, lontano da occhi e da moleste macchine fotografiche, si potevano seppellire i fanghi velenosi che ancora minacciano la falda acquifera. Poi arrivò la sera del 14 luglio 1978, il famoso incendio che se avesse raggiunto i depositi del piombo tetraetile avrebbe ucciso chissà quanti abitanti di Trento. Ricordo i pompieri avanzare lentamente verso il fuoco, il presidente della Provincia Bruno Kessler in prima fila sul fronte del rogo che sembrava indomabile e l'ingegnere Nicola Salvati a dirigere il getto del cemento in polvere sulle fiamme finalmente spente mentre sulla città si stendeva una nube sempre più fitta che rendeva difficile il respiro, irritava gli occhi, spaventava tutti mentre in molti, saliti sulle automobili, fuggivano verso la Valsugana. Il sindaco Giorgio Tonini, subito interrotta la vacanza al mare, tornò in tutta fretta a Trento ordinando la chiusura immediata dello stabilimento. Una cosa simile non era mai accaduta in Italia.

Fin da allora si invocava il totale disinquinamento a partire dai corsi d'acqua. Che dovrebbe cominciare a breve. Però non sarà pagato dagli inquinatori ma dal soldo pubblico. Cioè da ciascuno di noi.

Registriamo che nel tempo si sono susseguiti molti appalti, da quelli commissionati dalla giunta Dellai (a firma dell’assessore Ale Pacher, nell’anno 2006, per 35 milioni di euro), all’ultimo: 

la Conferenza dei servizi tenuta martedì 1 marzo al Ministero per la transizione ecologica ha dato un sostanziale via libera alla proposta di variante progettuale presentata per ovviare ai problemi tecnici che avevano di fatto impedito finora di scavare e portare via il terreno inquinato dal fondo delle rogge, la Primaria di Campotrentino e il rio Lavisotto.

I pareri espressi dai servizi coinvolti sono positivi e dunque manca solo il passaggio formale per poter riaprire il cantiere. «Confidiamo di poter riprendere il lavoro entro la fine del mese con l’autorizzazione del Ministero» conferma Mauro Groff, dirigente del Servizio opere ambientali della Provincia.

Inaugurato nel novembre del 2020 il cantiere non aveva di fatto mai raggiunto l’operatività. I monitoraggi eseguiti per un anno intero avevano infatti evidenziato come il livello della falda sia molto più alto del previsto. Anche in un lungo periodo di secca come quello vissuto quest’inverno è sempre stato a ridosso della quota di scorrimento del Lavisotto e ciò ha impedito di intervenire, perché andando a scavare per 60-80 centimetri si dovrebbe prelevare e mandare a smaltimento anche acqua intrisa di inquinanti, con problemi operativi e un enorme aggravio dei costi.

La variante proposta prevede che prima dello scavo venga effettuata una impermeabilizzazione in profondità, in modo da evitare che l’acqua di falda risalga mischiandosi col terreno “sporco”. Il correttivo provocherà un aumento dei costi stimato tra il 10 e il 15%, cioè circa 700mila euro rispetto all’importo di aggiudicazione della gara d’appalto che era stato di 6,53 milioni.

L’imminente ripresa dei lavori è una buona notizia anche per l’interferenza che la bonifica delle rogge potrebbe avere con il progetto di circonvallazione ferroviaria. Il progetto di Rfi laddove si occupa del tratto che attraversa le aree inquinate di Trento Nord prevede infatti anche la deviazione di un tratto del Lavisotto ipotizzando che lo stesso sia già bonificato, cosa che, visti i ritardi accumulati, non è più così certa.

Anche se secondo Groff sarà sufficiente coordinare eventualmente i cantieri per non “pestarsi i piedi”. Anzi, la tecnica messa a punto con questa variante potrà essere d’aiuto anche a Rfi che nell’ambito del suo progetto dovrà scavare anche più in profondità andando sicuramente a intercettare la falda.

I lavori di bonifica delle rogge demaniali sono affidati all’associazione temporanea d’impresa formata da Unirecuperi srl di Reggio Emilia e dalle trentine Ecoopera e Consorzio Lavoro Ambiente. Il contratto stabiliva 560 giorni consecutivi per completare l’opera, tempo che ovviamente si è interrotto con il lungo stop imposto al cantiere. Dunque dalla ripresa dei lavori ci vorrà almeno un anno per arrivare alla conclusione. Anche se forse un po’ del tempo perso potrà essere recuperato proprio grazie alla nuova tecnica di impermeabilizzazione preventiva, che permetterà di accelerare e di lavorare in condizioni operative di maggior sicurezza.

Questo intervento è solo la prima parte della bonifica delle rogge demaniali, quella che dalle aree inquinate scendono a cielo aperto fino a via Fratelli Fontana. Da lì in giù le rogge sono tombinate e scorrono sotto la città (via Manzoni, via Torre Verde e via Torre Vanga); della pulizia di quel tratto si occuperà il secondo lotto, che operando nel sottosuolo implicherà l’elaborazione di un progetto con l’uso di mezzi robotizzati.

Il progetto complessivo è del lontano 2006 e su un costo quantificato in 35,22 milioni è finanziato dal Ministero per 19 milioni.

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