Città / Il dibattito

Movida, la sociologa Molin dà la sveglia: «Trento è città universitaria, ma non offre niente ai suoi studenti. Mandare le pattuglie non risolve i problemi»

Una città che guadagna sui ragazzi, ma non sopporta quando vogliono divertirsi: «Una piccola parte crea disagi, ma diciamoci la verità, dove possono andare a ballare? Ad ascoltare musica? A mangiare qualcosa a tarda sera?»

di Matteo Lunelli

TRENTO. «Trento è una città universitaria. Ma la città stessa pare non essersene accorta. L'Ateneo è eccellente, gli aspetti culturali anche ma l'offerta di divertimento non c'è, o almeno c'è un margine per crescere. L'atteggiamento è un po' provincialotto. In quanti posti si può cenare dopo le 23, ovvero all'uscita dal cinema? O dove si può andare a ballare? O dove c'è un po' di musica dal vivo? Che in città i locali chiudano particolarmente presto è un dato oggettivo. E che l'offerta per chi da noi vive, paga l'affitto, fa la spesa, usa l'autobus è ancora troppo scarsa».

Valentina Molin è una sociologa, che lavora in Dipartimento anche come ricercatrice, con un particolare interesse alla devianza. Del tema movida si è occupata, scientificamente, molte volte con varie pubblicazioni. Anche noi ce ne occupiamo praticamente da sempre.

Ora il tema è tornato di grande attualità.

E non mi sorprende, è normale. Come la devianza, è un fenomeno che è sempre presente dove ci siano gruppi e persone. I giovani si aggregano, spesso consumano alcol e si divertono. E una piccola parte crea anche dei disagi.

Ma perché ora la questione è tornata di attualità?

Credo che una risposta sia da ricercare nel Covid: diciamo che il desiderio di stare insieme ed essere vicini stia avendo il sopravvento su tutto. C'era una sorta di crisi di astinenza. Trovare un equilibrio tra diverse esigenze è il tema centrale.

Ma è possibile?

Anche io credo che trovare accordi e compromessi per una convivenza civile sia il nodo. Fermo restando che imbrattamenti, danneggiamenti, inciviltà e caos siano da sanzionare. Il lavoro da fare è sulla reciproca conoscenza e tolleranza tra residenti e giovani. E un ruolo importante lo hanno anche gli esercenti. Ovvero?

Possono rappresentare la "sponda" per evitare problemi e casomai risolverli. Per i ragazzi il titolare di un locale dove vanno spesso rappresenta una voce autorevole. Diciamo che l'arrivo di una pattuglia non è ben visto, perché potrebbe rappresentare la "fine della festa". Invece il barista può riuscire a convincere i ragazzi a comportarsi in un determinato modo, grazie a una dinamica di reciproca fiducia.

Si è parlato di chioschi (ultimamente) e di movida itinerante (nel recente passato): possono essere delle soluzioni?

Diversificare l'offerta è una buona idea. Ma l'offerta deve esserci. So che il Covid ha stangato pesantemente, ci sono difficoltà economiche in quel settore, ma è anche vero che a Trento e dintorni i locali serali e notturni sono pochissimi. Dove si può ballare? Dove si può mangiare qualcosa e bere qualcosa dopo una certa ora? Avere un ventaglio di offerte confortevoli per le diverse esigenze non sarà la risoluzione del problema ma forse un aiuto lo può dare. Se ci fossero uno o due posti per chi ama ballare, un altro paio per chi ama la musica dal vivo, un altro paio per chi vuole solo fare quattro chiacchiere, allora forse le grandi folle non si radunerebbero negli stessi luoghi.

La questione resta complicata anche perché gli attori in campo sono parecchi e mettere d'accordo tutti non è facile.

Senza dubbio. Ognuno ha il proprio ruolo e le proprie esigenze. Io cerco di analizzare dal punto di vista sociologico, sapendo che la devianza esiste e che una quota di chi non rispetta le norme c'è sempre. Un punto di partenza sarebbe che la città facesse i conti con il fatto di avere migliaia e migliaia di universitari, spesso fuori sede. Poi alcuni eccessi si possono prevenire, fermo restando che il tema movida non si risolve in un giorno, è endemico ovunque, in ogni città.

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